Alla fine, comprando il mediocre "Volfrudolf" uno si ritrova tra le mani anche questo "Grande Pfungst", raccolta di materiale d'archivio e di tracce nuove di zecca. Un modo come un altro per giustificare l'acquisto, insomma, perché qui almeno i Volcano The Bear si ricordano, anche se a sprazzi, di essere una grande band.
Disco disomogeneo perché innamorato del frammento dissoluto e anarchico, verrebbe da dire anche "weird" per il modo con cui riesce a farci pensare a tante esperienze "out" della moderna scena underground americana, "Grande Pfungst" è una giostra di sregolatezze assortite, di sperimentalismi elettrici e acustici che sembrano usciti da qualche cassettina registrata alla meglio durante qualche session estemporanea ("W.Q. Refurteniser 2", "Goosewar", "K.S.U.V."). Un free-form che è anarchia sotto mentite spoglie, volontà di destabilizzare e ricostruire usando materiali di scarto, ipotesi, aborti di canzone ("10000 Oats"), passando dalla circolarità sbilenca di "Night Fig" al ritualismo minimalista di "Barbara Castle Festival Hall", dal Bregovic riletto dai Residents di "Glad Spargeleit" alla coralità quasi sacrale di "W.Q. Refurteniser".
Aria fresca, insomma, rispetto alle indecise peripezie del "disco madre". Ci sono anche ipotesi di free-jazz decomposto ("Orson", "Malt-O-Stratos"), insieme con i concretismi asimmetrici di "Cecil Village" e il videogame impallato di "Vermicelli". "Sir Lord Horseradish Metal", infine, non è nient'altro che il risultato di quest'addizione: noise + un brano a caso dei Factums remixato dal vostro amico scemo + sberleffi fiatistici + percussioni trovate. Per ora, va bene così.
05/05/2010