A. A. Bondy

Believers

2011 (Fat Possum)
alt-country, slow-rock, songwriter

È quello strano tipo di bellezza nell'essere soli, certe volte - ha qualcosa di veramente narcotico.
(A. A. Bondy)

Il ciglio della strada come luogo dell'America sgretolata, dell'America in movimento, dell'America di luci e lampioni, che sono tanto più accecanti quanto più l'oscurità attorno incombe sterminata. In quest'istantanea sfocata, sgranata, che suggerisce odore di nebbia, sta quell'orgoglioso pellegrinaggio di vite incompiute che dà forma al fascinoso terzo disco di Auguste Arthur Bondy, già chitarrista dei Verbena, scioltisi poi nel 2003.
Dopo il loro scioglimento, Bondy ha intrapreso una carriera solista che lo ha visto da subito (2007) acquisire una nuova popolarità, dopo il contratto con la Fat Possum e un sicuro collocamento nel panorama cantautorale americano. Ma "Scott", per gli amici, non è tipo da seguire il sentiero più facile, e in questo "Believers" lo dimostra allontanandosi dai canoni e acuendo a dismisura il lato più notturno e inquieto della sua musica.

L'ovattata sezione ritmica è un bavero alzato, poche note di slide sfrecciano increspando i brani, la voce del cantautore raschia come i tacchi sull'asfalto: basta questo per accendere la notte americana di fuochi fatui, di sogni e speranze che solo la solitudine e il vento possono generare. È una strada qualsiasi, la Route 28, che compare in uno dei brani, a racchiudere e rappresentare un po' il carattere "periferico" del disco e dell'autore statunitense: non è la 66, non è la Strada, non c'è niente di mitico nel calcare le rotte che attraversano l'infinita suburbia della provincia americana, ma c'è tutta l'umanità possibile, forse l'unica possibile e raccontabile nello spazio di tre-quattro minuti.
La narcosi della solitudine, quella ricordata dallo stesso Bondy nelle interviste, trova un riflesso nel mantra motorik dell'iniziale "The Heart Is Willing", nella quale "Believers" scopre subito le sue carte, con un pezzo abrasivo, di lamiere post-punk abbandonate ad arrugginire in mezzo agli sterpi.

"Believers" ottiene il suo intento anche grazie a una registrazione e a una produzione scarne, ma risonanti, che permettono all'intensità del disco, incardinata sulle esperienze di Idaho, Songs: Ohia e dei primi Wilco (e cominceranno a fregarsi le mani, dopo questo 2011, i nostalgici dei 90), di rivelarsi in tutto il suo fascino languido (con inflessioni spesso vicine ai Velvet Underground, come in "DRMZ"), la sua imperturbabile mestizia.
Ma è la solitudine notturna, con le sue allucinazioni, il suo romanticismo ebbro e disfatto ad avere ben salde in mano le redini del disco: come in Twin Peaks, a volte la sensazione è di entrare in un locale drappeggiato a festa, dove la clientela è ormai assopita o guarda fisso il vuoto, col bicchiere penzolante tra le dita, e il piano bar continua a trasmettere, sempre più ovattato e dissonante, le sue frequenze catartiche e disperate al tempo stesso ("Hiway/Fevers", mentre "Scenes From A Circus" sembra, per qualche istante, la rivisitazione alt-country del tema della celebre serie tv).

In tutto questo, le impeccabili, per classe e intensità, interpretazioni di Bondy completano un disco che, pur mostrando una varietà di stili (dal Neil Young rallentato di "Down In The Fire (Lost Sea)" alla deliziosa ballata sudista di "Surfer King", passando per le lame e i rombi lontani di "The Twist"), sa tener fede al proprio tema di fondo, facendone una scenografia piuttosto che una lente deformante.
In questo luogo, che forse vive solo nella propria mente, vale la pena però di sguazzare, di abbandonarvisi, seguendo le interminabili sensazioni di sogno di "R.te 28/Believers", mentre il mondo dorme, e ci si può illudere di condividere coi pochi individui vigili un piccolo segreto.

28/12/2011

Tracklist

  1. The Heart Is Willing
  2. Down In The Fire (Lost Sea)
  3. Skull & Bones
  4. 123 Dupuy Street
  5. Surfer King
  6. Hiway/Fevers
  7. DRMZ
  8. The Twist
  9. R.te 28/Believers
  10. Scenes From A Circus

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