Lo stile di Hungtai è figlio tanto della necessità in fase di produzione (pochi mezzi a disposizione e di conseguenza sound a bassissima fedeltà) quanto di un gusto di chiara matrice fifties (da Roy Orbison a Elvis Presley), sino alle riformulazioni più "recenti" del classico rockabilly, dal lato più industriale e ossessivo dei Suicide a quello più distorto e psicotico dei Cramps, passando anche dai primi Sonic Youth. Questo "Badlands" è dunque un classico album homemade, infarcito com'è di samples e loop a ritmo ferroviario, di riverberi sinistri e distorsioni sporche e maciullanti, che creano atmosfere cinematiche mosse da un senso di frenesia ansiogena e da tormenti asmatici.
È sotto questa tenebrosa luce che prendono vita gli squarci caotici di "Speedway King", il boogie conturbante di "Horses" o il monotono e malato martellare di "Sweet 17", il brano più suicidiano del lotto. L'infausto e irregolare incedere del caracollante twist di "A Hundred Highways" fa da spartiacque alle due facce dell'album. Dopo la fuga, la redenzione, e una libertà romantica ma pur sempre affranta. "True Blue" e "Lord Knows Best" mostrano il lato più lirico di Hungtai, crooner solitario con spiccata vocazione retrò. Molto ben riuscito è soprattutto "Lord Knows Best", un lentone quasi da vecchio vinile, costruito sulla ripetizione di un iridescente fraseggio pianistico e su un mood generale affranto, da dolente romanticismo. Le strumentali "Black Nylon" e "Hotel" fungono da funesti titoli di coda, tenebrose e immanenti cantilene che lasciano in dono solo una coltre di fumo.
"Badlands" è senz'altro un disco affascinante e ambizioso nelle idee che prova a sviluppare, ma la sua brevità, la produzione ancora troppo sporca e grezza e un certo senso di incompletezza formale e sostanziale rimandano attese e giudizi più ampi a un futuro (si spera) prossimo. Produttore cercasi.

(30/03/2011)