Man Man

Normalizzazione compiuta.
Dopo esordi caotici, dissacratori e ironici, nel solco di Zappa, Waits e Capitan Beefheart, i Man Man approdano, con “Life Fantastic”, a una scrittura relativamente più contenuta, verrebbe da dire (con tutte le cautele del caso!) quasi “pop”. Ci si diverte sempre con la band di Philadelphia, come se ci si trovasse a un party coloratissimo e un po’ ubriaco, anche se non mancano momenti più raccolti (la zoppicante e dolente “Steak Knives”, l’interludio struggente di “Oh, La Brea”) o, quantomeno, meno impervi (la title-track).

Il titolo, in sostanza, è un modo sarcastico per dire che la vita deve essere accettata per quella che è, anche con le sue tragedie. Di fatto, questo è un disco – per parafrasare le parole del leader, cantante e tastierista, Ryan "Honus Honus" Kattner – alimentato da relazioni interrotte, dalla morte degli amici, dal vagabondare senza meta. Come se mancasse qualcosa; come se questo qualcosa non potesse essere mai raggiunto, insomma… Ecco, dunque, la band muoversi in un territorio sicuramente meno avventuroso rispetto al passato, ma pur sempre stuzzicante, tra strutture che cercano di mostrare la loro fragilità e un disordine “essenziale” che non fa mistero della sua esistenza. Se, però, bisogna anche divertirsi, che lo si faccia, questa volta, senza girarci troppo intorno, immaginandosi negli anni Sessanta alla corte dell’uomo di Cucamonga (“Piranhas Club”), con fanfare effervescenti altezza Goran Bregovic (“Dark Arts”), numeri più rock (“Shameless”), chiare (o meno chiare) reminiscenze dei “tromboni del pesce spada” (“Haute Tropique”, “Spooky Jookie”, “Bangkok Necktie”) e via di questo passo.

In ogni caso, se proprio volete ascoltarli al meglio delle loro possibilità, è consigliabile ripescare “The Man In A Blue Turban With A Face” e “Six Demon Bag”.

11/05/2011