Non ho mai avuto dubbi sulla grandezza di questi ragazzi. A costo di passare per pazzo agli occhi di qualche metallaro tutto-d'un-pezzo, ho sempre sostenuto Shawn, Nick e Karl convinto che con "Archaeaeon" avessero realizzato qualcosa di straordinario, un disco destinato a restare nel tempo, spazzando via la fuffa di tanta roba "metallica" pompata oltremisura.
Un disco, quello, nato in perfetta solitudine, quasi a esorcizzare la paura di non farcela, di non riuscire a spaccare il guscio dell'anonimato. Eppure, il passaparola sotterraneo e insistito ha fatto il suo dovere perché, un bel giorno, alla Profound Lore si sono accorti di loro e li hanno messi sotto contratto.
Dunque, ecco "Parasignosis", cinquantasei minuti scarsi di musica che portano impresso il marchio del talento. Ma non fate l'errore di volerlo a tutti i costi paragonare ad "Archaeaeon", perché qui il suono è diverso, a cominciare da un substrato black-metal meno appariscente ma pur sempre "vivo" e da un lavoro al banco del mix ben più ragionato (e su questo non c'erano dubbi...). Così, le chitarre, il basso (suonato dallo stesso Nick) e la batteria vanno a formare un'unica, imponente muraglia sonora, la cui scalata richiede dedizione. Se avete intenzione di ascoltarlo distrattamente e al massimo un paio di volte, vi consiglio caldamente di desistere. Dedicatevi ad altro. Iscrivetevi a un corso di cucina, portate il cane a spasso, ma lasciate perdere.
Senza soluzione di continuità, i brani di "Parasignosis" formano un vero e proprio rituale metallico, al cui interno la tortura e il caos vanno a braccetto con lampi di nitida esaltazione. Come shakerare Portal (non a caso, la copertina richiama quella di "Swarth"), Nile e Gorguts e servire un drink fatto di purissimo veleno. Sottotitolate "Pestilentiam Intus Vocamus, Voluntatem Absolvimus", le prime tre tracce vanno a comporre una vera e propria suite. Si parte con la costruzione in crescendo e a tratti matematica di "Plague Evockation", in una spirale diabolica che sale vertiginosamente, sciogliendosi nei gorghi sludgy e atonali di "Lex Ego Exitium", arricchita da un solo chitarristico atmosferico e squassata da accumulazioni dissennate che s'allungano fino al climax in continuo divenire di "Tetravirulence", brano-monstre che, lanciato da un furibondo death-grind, innalza un caleidoscopio di soluzioni estreme, tingendosi finanche di doom, rallentando e riesplodendo, in un labirinto di puro terrore sonico che sfocia in un paio di minuti di reiterata e sferzante devastazione.
Man mano che gli ascolti rompono la scorza, il disco mostra tutta la sua "raffinata" cesellatura. Del resto, come lo stesso Nick mi conferma in sede di intervista e come anche la press release ribadisce ("meticulously planned, initiated, and constructed in the most obsessive of manners over the last several years"), il disco è stato studiato e architettato nei minimi dettagli. "Trials" riparte, quindi, proprio dall'ultimo assedio di "Tetravirulence", costruendo un'altra carneficina di fuoco e fiamme, di rantoli iper-gutturali e incendiarie convulsioni incrociate che preparano il terreno per un torrenziale allungo al napalm. L'intermezzo thrilling di "Rift/Apex" lancia il primo capolavoro assoluto del disco, quella title track che è l'ennesima dimostrazione di potenza di questi tre ragazzi arrivati praticamente dal nulla.
Mentre la voce di Shawn è sempre più il simbolo di una furia sovrannaturale, l'interplay strumentale è ancora più belligerante, pur mantenendo, di fondo, un raziocinio lacerante. Ad un certo punto però il brano si spacca, come colto da un'allucinazione sfiancante, e la musica si smembra in rivoli progressivi, tra scansioni industriali, blocchi math-metal, distorsioni a fasce continue, drumming circolare sui tom-tom, stacchi solenni e maestosi mulinelli fantascientifici (sì, ancora una volta i Mithras!) che trasfigurano il dolore in qualcosa di terrificante e inumano. Mostruoso.
Tempo di un battito di ciglia e, introdotto dal rullare militaresco di Godard, "Banishment (Undecaphosphoric)" - altro brano straordinario - parte a razzo con un'aggressione selvaggia, sostenuta da uno Shawn al limite della sua esaltazione/veemenza vocale. Le mille schegge di vetro lisergico che schizzano dappertutto altro non sono che la loro idea del free-death dei Gorguts, mentre quello che succede nella seconda parte fa pensare a una versione drooning (!) del brutal, con un monumentale break vocale ("When Will You Actualize? Parasite!") e una lunga spirale elettrica (?) (ripetuta dopo una breve pausa con intensità ancora maggiore, tale da spingere il baricentro verso il gore-grind) per cui l'aggettivo demoniaco rappresenta un eufemismo...
Un'altra mazzata sui denti, insomma.
Raggiunto il climax, il disco va di epico defaticamento con l'incedere marziale di "Kathenotheism", una sorta di "137 (Death's Hedecaratia)" in sedicesimo che si liquefa nell'"Ambient Outro", ancora simbolo di quel "baratro galattico" che, come per il precedente capolavoro, richiama lentamente a sé le particelle del caos, ma questa volta con una nota di profonda malinconia.
Grandissimi.
31/01/2011