"Ishy Van": per metà pare il nome di una divinità minore
del pantheon induista, per l'altra
pare di veder sfrecciare per le strade di Melbourne un furgoncino impazzito di
un take-away etnico. Esotismo e
contemporaneità si frullano torbidamente nella musica dei Paradise Motel,
gruppo tornato alla "ribalta", se così si può chiamare, dopo la reunion del 2008. Uscita "nuova", ma non
così nuova è la effettiva registrazione del disco, avvenuta in quello stesso
anno in cui i Nostri si erano ritrovati, per rituffarsi tra le ombre
dell'Australia.
Due le domande che ci si pone
nell'assistere a questa pubblicazione ufficiale: in primo luogo cosa impedì
loro di presentare questo lavoro ormai tre anni fa? E, poi: cosa li ha spinti a
riprovarci ora?
La risposta alla prima domanda è purtroppo molto facile, dato che, in
corrispondenza del termine delle registrazioni, morì il loro batterista, Damien
Hill. Ora, in una sorta di tributo postumo, la band vuole forse dedicare a lui
non solo il disco, ma anche la rinnovata enfasi del progetto Paradise Motel,
rilanciata dalla ritrovata vena creativa di Charles Bickford, autore di musica
e testi, e dal riuscitissimo concept "Australian
Ghost Story", che li ha visti riportare alla luce una potente vicenda della
storia recente del proprio Paese.
Qualcosa pare arrugginito, però, nelle canzoni di "Ishy Van" - che, sveliamo,
non è che l'acronimo di "I Still Hear Your Voice At Night". È naturale che la
band abbia perso l'intensità avviluppante di "Left Over Life To Kill" o che
non tenti più di ghermire il pubblico con le rapaci hit di "Flight Paths": il
problema che emerge palpabile da questo disco è capire cosa rimanga. Problemi
di identità che si riflettono, quindi, in un disco di transizione, che mostra
uno stile più "maturo", ma anche privo di spigoli, di punte emotive di spicco.
Forse il loro disco più vicino al pop compassato dei Tindersticks, con quel
basso corposo, sempre in primo piano, gli intarsi chitarristici sparuti, il
secco rimarcare della batteria e remote folate di violino.
Eppure, più che un gioco di false porte non pare, "Ishy Van", e dagli
abissi di tenebra degli inizi pare di specchiarsi in una pozzanghera,
sguazzando nel manierismo di tracce come "Bear Never Left Home" e
"The Moonlight And The Scrub". Canzoni gradevoli (il singolo "The Promise" su tutte), misurate, curate se
vogliamo, ma che non mostrano mai un guizzo che sappia sporgersi ad afferrare
qualcosa che non sia un'emozione fugace, una breve smorfia del volto.
Prevedibili, insomma, il più delle volte.
Un bell'affresco in due dimensioni, in cui però i Paradise Motel rodano il
nuovo motore del proprio sound più scarnificato, mettendo insieme qualche
esperimento, come il controcanto maschile per la voce della Sussex, che a volte
pare appiattirsi, come in "The Exiles".
Certo, un'uscita estemporanea, dovuta forse all'entusiasmo di trovarsi insieme
di nuovo a suonare, a percorrere le strade dell'Australia in lungo e in largo,
incontrando facce sorridenti, amiche, quelle che ancora si ricordano di loro.
Ma conforta sapere che, dopo "Ishy Van", hanno composto "Australian
Ghost Story"...
20/01/2011