Stavolta le tracce sono appena due, “Truant” e “Rough Sleeper”. E a conti fatti, nel solo 2012 Burial avrebbe potuto tranquillamente sfornare un unico Lp e assecondare le masse fin da subito. Ma come ribadito poco sopra, al timido Will evidentemente piace giochicchiare parecchio, sia con la propria musica, sia con le ansie della propria (e oramai) vastissima platea.
L’Ep è diviso dunque in due facciate. La prima è occupata da “Truant”: dodici minuti scarsi di assurdi stop&go e bordate nostalgiche in cui prendono forma sullo sfondo i noti campionamenti vocali vagamente angelici di marchio Burial. A un primo impatto, resta intatta la capacità del ragazzo di coalizzare le proprie esperienze in un’unica mescola. Non a caso, subentrano tra un morbido stacchetto e l’altro fascinazioni hebdeniane, tintinnii esotici, mentre la sezione ritmica non trova pace e cerca di sollevare dal suolo l’anima dell’ascoltatore, proiettandola in una ricorsa spezzettata di battiti assolutamente imprevedibili, mutevoli a seconda del momento e dell’oscura atmosfera da ricreare.
La successiva “Rough Sleeper” ricalca gli stessi sentieri ma con una maggiore speranza di fondo. C’è una nuova luce. E a tratti la pioggia nella quale Bevan adora rifugiarsi sembra solo un lontano ricordo, mentre una sorta di pulsante ascesa, placata qua e là da improvvise sterzate e pause avanzate a mo’ di fruscio del giradischi, ritrascina i cuori tra l’oblio e il paradiso. L’andazzo è fondamentalmente sempre lo stesso, ovverosia two-step di pregevole fattura zigzagato mediante inquietanti inserti metallurgici, atmosfera vagamente industrial e una malinconia perenne a suggerire alienazione e un imprecisato tormento.
Essendo la resa ancora una volta più che soddisfacente, non ci resta che attendere nuovamente il ragazzo al varco, ma con l’ovvia speranza di poter ambire al più presto a un banchetto più ricco di pietanze.
(19/12/2012)