Ancora lui, l’incorreggibile. Fedele a se stesso come a un totem – quale del resto ormai è – Donald Fagen si ripresenta con l’adorabile faccia tosta di sempre, quella di chi se ne infischia del tempo che passa, delle mode e delle categorie. Cambia unicamente l’intervallo tra un disco e l’altro: non più i soliti dieci anni e passa, ma “solo” sei, a separare questo “Sunken Condos” dal precedente “Morph The Cat”. Ma le lancette dell’orologio sono ancora appese a quell’attimo indefinibile che partorì il capolavoro “The Nightfly”, solo incidentalmente attribuibile all’anno 1982.
Musica senza tempo e che non può cambiare. Astenersi, dunque, oltranzisti dell’innovazione a tutti i costi, della musica come ricerca proiettata nel futuro, perché il buon Donald non ne vuole sapere, di voi e dei vostri teoremi avveniristici. Lui resta lì, piantato in quello studio radiofonico, magari incanutito e un po’ avvizzito, ma con la stessa flemma da jazzista di velluto, a inseguire le ombre della notte con un microfono in mano e una Chesterfield da consumare lentamente, davanti a un vecchio giradischi.
E l’impressione, attaccando “Sunken Condos”, è proprio di trovarsi di fronte a un sound immutabile, che non è superato oggi come non era all’avanguardia allora, ma che semplicemente si ripropone di irretire, o tutt’al più intrattenere, con le stesse armi intelligenti di sempre. Certo, il perfezionista Fagen non poteva sbagliare il (co)produttore, e la scelta di Michael Leonhart – mulistrumentista e guru da studio quasi più maniacale di lui, con il gusto per l’orchestrazione jazzy e l’arrangiamento perfetto – si rivela quantomai azzeccata, così come magnifica è ancora una volta la pulizia del suono, che farà, al solito, la gioia degli audiofili.
Niente da eccepire sul sound, dunque, oltre che sui soliti favolosi sessionmen (tra i quali brilla il chitarrista Jon Herington) e sugli arrangiamenti eleganti, in cui s’insinua, a tratti, un’inconsueta armonica à-la Wonder. E a convincere è anche il groove complessivo del disco, che su questo fronte - dall’iniziale funk sfrenato di “Slinky Thing” al serpeggiante incedere disco del singolo “I’m Not The Same Without You” fino alla tiratissima cover di “Out Of The Ghetto” di Isaac Hayes - segna un passo avanti rispetto al più statico e rilassato “Morph The Cat”.
I problemi, semmai, sorgono sul versante del songwriting: la scrittura di Fagen è inconfondibile, ma nel tempo è diventata anche tremendamente autoreferenziale. Con l’inevitabile conseguenza che ogni brano sembra infestato dai fantasmi dei nobili predecessori. Prendiamo “Miss Marlene”, ad esempio, che pure è una delle tracce più riuscite dell’album: praticamente una fusione fredda in salsa shuffle delle immortali “I.G.Y.” e “Ruby Baby”, condita dai soliti ghirigori preziosi delle chitarre e dai coretti femminili d’ordinanza. Oppure quel wah di chitarra settantesco di “Good Stuff” a riecheggiare divorzi haitiani di steelydaniana memoria. O ancora l’organo e i fiati di “The New Breed”, a ricreare l’impasto sophisti-jazz del “My Rival” di “Gaucho”.
C’è tanto autocitazionismo, insomma, e qualche episodio risulta invero stucchevole (la fiacca “Memorabilia”, la pretenziosa chiusura di “Planet d'Rhonda”). Ma a chi ha inventato dal nulla uno stile e l’ha protratto per decenni con inveterata classe, si può tutto sommato perdonare. Tanto più se si pensa a come le armonie vocali di quell’ugola aspra e arrochita riescano ancora a incantare, oggi come allora. E al cospetto del modernariato d’alta scuola di “Weather In My Head”, un bluesaccio chicagoano venato di funk che sembra uscito dritto dai Seventies, e “The New Breed”, midtempo gigione, giocato sul synth Prophet-5 e sugli intarsi di mellotron, non resta che togliersi il cappello.
È il solito, inguaribile Fagen, che ti guarda divertito, con quel suo sorrisetto sardonico, tra un cocktail e l’altro. Jazz alle fragole, si era detto, e così sarà per sempre: prendere o lasciare. Noi, anche stavolta, ce lo sorseggiamo volentieri. Poi, per le emozioni forti, basterà tornare a sintonizzarsi sull'emittente libera WJAZ. Tanto Lester La Falena “The Nightfly” sarà sempre lì, pronto a scioglierti il cuore “with jazz and conversations”.
23/10/2012