Sogni e divagazioni legittime nell'ascolto di questo "Gold Motel", seconda prova della band di Greta Morgan, artista di Chicago ma "cresciuta" a Los Angeles: un pop chitarristico certamente ispirato a una rivisitazione in chiave moderna - post indie-pop, insomma, si veda "In Broad Daylight" su tutte, con tanto di glockenspiel e synth appena accennato, e la vagamente new wave "Your Own Ghost" - dell'epopea del sound della West Coast, al quale la voce calda della Morgan e gli arrangiamenti per chitarra piuttosto incisivi danno un'impronta inconfondibile. Anche grazie a un'intelligente vena ironica (date un'occhiata ai video).
Fin dalla prima nota, da quello stoppato irresistibile di "Brand New Kind Of Blue", "Gold Motel" acquisisce tutti segni di un trionfo di grandi canzoni, che spaziano dal power-pop alla Ted Leo di "Musicians" al conturbante soul-rock alla Strokes di "Slow Emergency", fino ai motivi più tipicamente sixties, come "These Sore Eyes" e "At Least We Tried".
Dichiarano grande stima nei confronti dei Best Coast - potremmo metterci anche i Tennis, volendo - i Gold Motel ma, lasciatelo dire, dovrebbe essere il contrario. Le canzoni di "Gold Motel", con quei continui cambi di tempo, la sapiente architettura melodica, la forza anche radiofonica - perché no? - dei ritornelli (su tutti l'inarrestabile "Cold Shoulders", con un'interpretazione anche più colorita di Greta, che riporta un po' alle dive country-rock anni Novanta), incarnano compiutamente l'ideale di guitar-pop della West Coast.
Se la costa "migliore" è quella Est, la band migliore per la sua interpretazione sono i Gold Motel, insomma. E "Gold Motel" è un disco accecante - il disco che rimarrà usurato e sbiancato dal sole dopo innumerevoli pomeriggi passati esposto al solleone. Non dimenticatelo in auto, quindi.
(07/07/2012)