Un disco su cui aleggiavano (forse è meglio dire gravavano) molte attese, questo terzo lavoro de Il Teatro degli Orrori, dopo che i lavori precedenti della band capeggiata da Pierpaolo Capovilla avevano riscosso grande successo e ridato vitalità alla scena del rock alternativo di casa nostra con un felice connubio tra noise e testi in italiano che brillava per potenza d'impatto.
Tanto per togliersi i sassolini dalle scarpe subito e gettare le carte in tavola, diciamo che "Il mondo nuovo" non soddisfa le aspettative che lo hanno preceduto e soprattutto non regge il confronto con "Dell'impero delle tenebre" e "A sangue freddo", né a livello di liriche, né dal punto di vista compositivo.
"Il mondo nuovo" nasce come un concept-album sull'immigrazione e soprattutto, sensazione che si ha dai primissimi ascolti, reca in sé la voglia di una svolta artistica che possa rinnovare la proposta musicale degli ex-One Dimensional Man virando verso lidi più morbidi, meno spigolosi e, va da sé, si dica senza malizia, più commercialmente favorevoli, specie sul nostro bel suolo natìo.
L'inizio è abbastanza coerente col sound dei primi album ("Rivendico", "Non vedo l'ora"), ma già il singolo "Io cerco te" rivela una debolezza assente nella compatta sonorità dei dischi precedenti, "Skopje" comincia già a mostrare le prime differenze veramente sostanziali; una diversa ricerca melodica, qui sotto forma di dettagli orientaleggianti, e l'imponente presenza di Capovilla che pare voler occupare troppo la scena, a volte (come in questo caso) con uno smaccato talking à-la Gaber, altre con una struttura del cantato che si staglia in modo troppo distinto dal contorno musicale, lasciando in molti episodi una sensazione di poca coesione tra le parti e incompiutezza.
Addentrandoci nel disco, la percezione di cambiamento si fa vieppiù evidente, i ritmi africani insinuati ne "Gli Stati Uniti d'Africa", il rap di Caparezza in "Cuore d'oceano", l'acustica elegia nella storia di "Ion", le melodie soft-rock di "Monica" e "Pablo" denunciano tutte l'intenzione di aderire a un mutamento che insieme discosta, seppur parzialmente, il muro noise sinora utilizzato a favore di soluzioni più lievi e consente una esposizione più chiara delle liriche di Capovilla.
Il problema in tutto questo è che la band non pare pronta a questo cambiamento; se alcune tracce sono ben riuscite, come "Adrian", interessante nel suo lento e sinistro crescendo verso la rabbia finale, o come i dissonanti cambi di ritmo di "Doris", non si può fare a meno di notare come Capovilla e soci riescano a dare il meglio quando si muovono sui territori già da loro esplorati.
Forse con un adeguato lasso di tempo in cui lavorare, considerando la statura musicale del gruppo e le sue potenzialità già ben espresse in passato, il futuro potrà dare ragione a questo cambio di rotta, ma per quanto riguarda il presente si deve amaramente constatare che l'ingresso fatto in questo "mondo nuovo" è stato un mezzo passo falso.
Io cerco te
11/02/2012