Ci sono artisti che sono simpatici ai più, come Alex Turner e soci, e artisti che campano benissimo dell'antipatia collettiva che generano, prendete a titolo d'esempio Bono Vox e compagni. Ci sono infini artisti che, dall'antipatia elitaria, cercano di spostarsi progressivamente verso la simpatia populista. Di recente, sempre per rimanere nella sfera degli esempi, si è molto parlato del nuovo disco dei Pontiak, “Echo Ono”. Secondo alcuni l'apice espressivo di una discografia rimasta fin'ora chiusa e incentrata sulla celebrazione del proprio marchio di fabbrica, secondo altri cedimento strutturale alle lusinghe di un pubblico più vasto ma anche meno pretenzioso.
La prima impressione, ascoltando questo ennesimo nuovo capitolo dei Piano Magic, è praticamente la stessa. Da un lato, “Life Has Not Finished With Me Yet” sembra essere uno dei lavori più coesi e mirati del chitarrista inglese Glen Johnson; studiato per voler essere un apice della formazione londinese. Dall'altro, tuttavia, sembra che la mira sia stata presa in una direzione, artisticamente parlando, “sbagliata”. Se quindi la scaletta è questa volta perfettamente funzionale, specie se raffrontata alle due conclamate insufficienze costitutive dei precedenti “Part-Monster” e “Ovations”, anche questo lavoro risulta essere confuso, fragile e sfocato nella sua perfezione formale.
Nell’album appaiono alcune interpretazioni sentite (la salmodiale "Judas", la tuxedomoodiana "Chemical (20mgs)", il mantra plumbeo della title track), ma troppi momenti si perdono nel vuoto e quasi la metà delle canzoni sembrano delle B-side ripulite ad hoc dei precedenti dischi. Tale considerazione non vuole sminuire l'operato, al contrario vuole sottolineare quanto i Piano Magic siano a quel punto di svolta che, prima o poi, si prospetta a tutti i musicisti: piacere anche a mia sorella, conclamata fan di Luciano Ligabue e all'oscuro sul nome degli altri due Nirvana, o continuare a far felice una nicchia che non potrà mai estinguergli un mutuo.
Due pezzi come "The Slightest Of Threads" e "Lost Antiphony" sembrano arrivare direttamente dai ricordi che c'erano rimasti di “Disaffected”: stessa enfasi, stessa atmosfera, stesse progressioni imprescindibili. Poi, però, tutto si ammoscia in un mare di ovvietà elettroniche finto-intellettuali ("Sing Something") pestate ad uso e consumo di tutte quelle radio con la parola “rock” nel nome, con l'apice della vergogna in "Higher Definition": tre interminabili minuti di sbrodolante rock desertico in stile (ultimi) The Doors che fanno vergognare di averne mezza discografia a casa.
Chi sa se il caro vecchio Glen se ne è accorto, tra un Ep, un singolo e un progetto parallelo, oppure è stato un semplice inevitabile fluire da “Artist' Rifles” in poi. Probabilmente no, altrimenti avrebbe depennato almeno una canzone ("The Way We Treat The Animals", bellissima nei suoi quasi sette minuti: pieni di austeri riferimenti ai The Banshees più criptici e ai Porcupine Tree più visionari) e avrebbe realizzato l'album dalla durata popolare per eccellenza. Quarantacinque minuti e tutti a fare altro. Non lo ha fatto e questo ci dà a intendere di quanto i Piano Magic amino ancora ragionare sui contrasti, tra suono rigoroso e quello fruibile, tra lirismo pop e spessore. Genio furfante o latente ingenuità, non sta a noi dirlo, “Life Has Not Finished With Me Yet” riveste del giusto smalto questo ennesimo affondo e ne nasce un disco senza difetti, nella misura in cui i suoi difetti per qualcuno potrebbero essere i suoi pregi più grandi.
09/11/2012