I Songs Of Green Pheasant raccontano questo crash post-industrial con una musica ricca di minimalismi neoclassici e con uno sparuto folk, quella stessa materia prima che Talk Talk, Bark Psychosis e Blue Nile hanno modellato per intense e rarefatte creazioni sonore.
L'album si adagia su toni mesti e informali, con piccole folk song appena turbate da sonorità barocche. Sono brani che hanno il fascino psichedelico dei primi Pink Floyd, nonostante le note iniziali di "Teenwolf" offrano una solarità finora avulsa: un pop-folk che evoca Beach Boys e Spirit per poi inoltrarsi nella psichedelia.
Ancora una volta la malinconia si impossessa della musica, con brividi elettrici e notturni alla Bark Psychosis ("Deaf Sarah" e "Mirror") e un minimalismo quasi cinematico ("For People"). È un album che ricorre anche alla seduzione elettronica e al ritmo nella elaborata "Flesheaters". Il disco mostra il suo lato migliore, però, quando ci invita a osservare pochi frammenti sonori da prospettive illimitate, come in "Sad Flowers (Viva Happiness)" o in "Self Portrait With A Dog", senza indugiare in contaminazioni orchestrali e sciogliendo le trame di una musica spesso schiva ma ricca di poesia.
Costruito su ombre e sfumature di pochi temi lirici ricorrenti, eppure suadenti e affascinanti, "Soft Wounds" chiede attenzione e devozione per essere amato fino in fondo. Duncan Sumpner ritorna a sfidare il declino sociale della sua Sheffield, cominciando a indicarci i primi raggi di luce. Restiamo in ascolto.
(07/09/2012)