Se c'è qualcosa che manca da sempre al rock alternativo italiano per riuscire a tenere il passo delle più blasonate concorrenti europee, quello è un minimo di novità. Da tanto, troppo tempo, la stragrande maggioranza delle band del Belpaese costruisce il proprio sound prendendo a modello a turno la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, assecondandone le evoluzioni a volte pure con un certo ritardo sui tempi. I Doormen non rappresentano certo un'eccezione alla regola, ma se è possibile dividere la schiera degli “imitatori” fra quelli più e meno abili, il quartetto di Ravenna si classificherebbe senza dubbio alcuno fra i primi.
“Black Clouds” è il secondo album di una band passata sostanzialmente inosservata alla prima prova, incline in tutto e per tutto ai suoni dell'Onda britannica di fine Settanta, nonché alla loro reinvenzione in chiave moderna portata avanti da band come Interpol, Bloc Party ed Editors. E sono proprio questi ultimi a risaltare alla mente per primi durante l'ascolto del disco, vuoi per la somiglianza vocale tra Tom Smith e Vincenzo Baruzzi, vuoi per l'utilizzo della chitarra che ricorda fin troppo da vicino quella dell'oggi fortemente rimpianto Chris Urbanowicz.
Dieci brani compongono un lavoro che ha ben poco da invidiare ai colleghi oltre la manica, e che prende il via sugli arpeggi dell'epico inno di “Bright Blue Star”, strizzata d'occhio ai Blur più energici, per continuare a sfornare un colpo dietro l'altro senza il minimo calo di pathos. “I'm In The Sunset” prende tutto o quasi dagli Interpol di “Our Love To Admire”, “Starting At The Ceiling” cerca e trova il contatto con certe trame affini ai Suede, mentre “Silent Suicide” indurisce i toni prima di un ritornello killer da pura rock-arena.
Dall'altro lato, “My Wrong World” potrebbe tranquillamente essere una cover degli ultimi Editors, “I'm In The Sunset” e “Strange Life” vertono su un'atmosfera più oscura di stampo post-punk e la conclusiva “Snowy Day” sconfina in buona parte in territorio Maximo Park.
“Black Clouds” è il disco di una band italiana che avrebbe tutte le carte in regola per risiedere a Londra e nelle cui vene scorre puro sangue britannico, tanto che sarebbe difficile immaginarseli al di qua della manica senza conoscere la loro storia. Trattasi dell'ennesima conferma dell'ormai cronico rapporto di dipendenza tra il rock made in Uk e quello italiano, che di rado è però riuscito a raggiungere un tale livello di qualità. E se una band può oggi forgiarsi del titolo di Editors d'Italia, si tratta sicuramente dei Doormen.
25/07/2013