DVA DAMAS si pronuncia “Duvva Damas” ovvero “due signore”, dal dialetto artificiale anglo-russo Nadsat, nato dentro gli stupri mentali di “Arancia Meccanica” di Anthony Burgess.
Un nome d'arte esteticamente interessante per il progetto portato avanti dalle sorelle Taylor e Shawna Burch (a cui si son aggiunti dal 2010 Dillan O’Neal, Patrick Chase e Joseph Cocherell), e destinato a essere la prima uscita ufficiale della neonata divisione americana dell'etichetta di Karl O'Connor (aka Regis).
Del romanzo “Nightshade” riprende le atmosfere decadenti urbane, una tetra fusione di sensualità perversa e di luci rosse ormai consumate: un mondo fatto di locali sotterranei, di sentimenti corrotti e pelli cicatrizzate più e più volte, destinati a fecondarsi continuamente fra loro.
Uno spirito noir che prende voce tra le pieghe più bluesy di un disco dominato altimenti da elettroniche distorte, secche e taglienti. Una fitta trama di lamiere pulsanti che nascono sotto la luce dei vicoli stretti e rumorosi della No New York, tra le note più calde e asfissianti dei Cramps e il minimalismo straniante dei Suicide.
Qui, un corpo crudo, operato senza anestesia, canta la sua storia maledetta d'amore e solitudine; una sperimentazione che attraversa la voce e i ritmi, chiudendoli dentro un freddo sudore di orgasmi.
“Nightshade” e “Babes in Toyland” sono blues chirurgici in cui l'erotismo striscia su una voce languida, una perversione apatica ma ipnotica che saturerà i nostri sensi nelle successive “Half Mask” e “Out f Thin Air”. Drum machine secche e percussive lavorano incessanti sotto chitarre taglienti e metalliche che sfiorano lo psychobilly più distorto e malato di Poison Ivy, per poi chiudersi dentro un mondo notturno lisergico, intrappolato tra deserti post-nucleari e danze sciamaniche (“Interlude”, “Time Dilation”). Tutto il disco si muove su un perenne bilico verso il corto circuito psicologico; una caduta imminente dentro un caldo, morbido organismo sensuale.
La fine non chiuderà la storia, non porterà salvezza, ma solo un ennesimo lamento drogato, seppur più lento e riflessivo, vicino forse a quello che potremmo definire una breve alba (“Living Again (Hawkline)”.
“Nightshade” riprende linearmente il lavoro già iniziato con il 10” uscito su Downwards nel 2010 (“Brand New Head”) e lo split con Le Face, portandoci davanti un progetto coerente esteticamente sin dalle sue origini, in cui la forza ritmica e compositiva sa unirsi a una narrativa emotiva densa e umorale.
08/04/2013