Cime di alberi che si perdono verso la sommità del cielo. Scogliere che si gettano a capofitto nell’Oceano. Camminare, un passo dopo l’altro; camminare alla ricerca del proprio volto. Fino a ritrovare nel silenzio il suono della propria voce.
John Vanderslice ha passato un anno ad avventurarsi nel profondo dei boschi della California: uno zaino e una tenda per affrontare in perfetta solitudine la natura selvaggia. E per rimettere in movimento la vita dopo la fine di una relazione. “Dagger Beach” è il diario di questa rinascita, che ha i tratti di un ritorno alle origini.
“In the deep dark woods, alone with my fears/ Under the jackpine the sky was galvanized”. La melodia obliqua di “Raw Wood” si svela con un fremito di inquietudine. “Durante il cammino, mentre ascoltavo dischi a ripetizione, ho cominciato a essere ossessionato di nuovo dalla musica”, racconta Vanderslice. L’ascolto diventa così la prima tappa del viaggio.
Sono tre gli album che Vanderslice non riesce a smettere di sentire: “Have One On Me” di Joanna Newsom, “The Natural Bridge” dei Silver Jews e “The King Of Limbs” dei Radiohead. “I primi due mi hanno ricordato quanto i versi possano essere cruciali, come la tua esperienza di un disco possa evolversi e mutare mentre decodifichi lentamente una scrittura profonda e complessa. “The King Of Limbs” mi ha mostrato quanto potente possa essere un songwriting lineare, quando dei sottili cambiamenti nella forma e dei motivi ripetuti si trasformano piano piano in qualcosa di completamente diverso”.
“I set up in wildcat camp, just me and the owls and the bats”. Nel senso di libertà dei sentieri solitari, nuove canzoni cominciano a prendere forma. “Rifinivo i versi camminando, lavoravo alle canzoni nella mia testa”. Un processo di scrittura completamente nuovo per Vanderslice, che lo porta a esplorare nuove strade. I contorni dei brani si fanno meno definiti, la struttura si sviluppa intorno a ossature ritmiche che rispecchiano l’influenza radioheadiana (mentre ai Silver Jews è dedicato l’esplicito omaggio di “Song For David Berman”).
Al ritorno a San Francisco, per Vanderslice è subito chiaro che l’esperienza che ha vissuto richiede una dimensione più libera per essere portata a compimento: il suo studio di registrazione, l’ormai celebre Tiny Telephone, diventa così anche un’etichetta discografica, pronta a dare alla luce “Dagger Beach” con il supporto di una raccolta di fondi su Kickstarter.
Dopo la felice parentesi chamber-folk di “White Wilderness”, Vanderslice torna alle cesellature sintetiche del passato, affiancato da Jason Slota alle percussioni. Tastiere dai riverberi alieni, ritmiche sfuggenti, miraggi evanescenti di moog: dalle rifrazioni di “Damage Control” all’avvitarsi nervoso di “Gaslight”, i brani di “Dagger Beach” puntano ad atmosfere “più svincolate, più strane e più libere”, per usare ancora le parole di Vanderslice. Atmosfere che (proprio come nei suoi primi album) sfociano in una coppia di fluttuanti interludi, cui si aggiunge la strumentale “Song For The Landlords Of Tiny Telephone”, firmata dal violoncellista Shawn Alpay.
La personalità delle canzoni, però, finisce per risultare meno a fuoco, disperdendosi in deviazioni e scarti in cui i dettagli prendono il sopravvento sulla visione d’insieme. Non è un caso, allora, che a convincere maggiormente siano la delicatezza incantata degli arpeggi di “Song For Dana Lok”, le slabbrature di “How The West Was Won” e gli accenti di marimba di “Sleep It Off”, che ricalcano più da vicino il tipico songwriting di Vanderslice.
“Dagger Beach”, per Vanderslice, non è tanto un “break-up record”, quanto piuttosto un “put-me-the-fuck-back-together record”: non un epilogo, ma una ripartenza. Lo annuncia subito “Raw Wood”: “One day the pain will pass on from me to you/ It will then be clear if it’s really true:/ I’ve moved on”.
Certo, il retrogusto amaro della parabola letterario-amorosa di “Harlequin Press” non nasconde un fondo di rancore. Ma tutto quello che resta, sulle scie elettroniche di “North Coast Rep”, è lo sguardo fuori campo di una fotografia in cui non ci si riconosce più. “Dagger Beach” affronta il primo passo verso la ripresa. Il passo più difficile, anche quando rimane ancora incerto.
09/06/2013