Nella recensione del vagamente celebre "Ys" - scusate ma non mi riesce di definire celebre tout court una qualsiasi cosa che nella mia città conosciamo io e altri due - mi ero soffermato come spunto di discussione sulla forma di pubblicità di cui era stato oggetto il secondo disco della all'epoca realmente semi-sconosciuta arpista Joanna Newsom. Probabilmente chi legge questo mio pezzo oggi ha maggiore dimestichezza con la fanciulla in questione e con quel giustamente incensato mastodonte. E' proprio per questo che ora, a differenza di allora, il marketing ha seguito un'altra strada. La necessità di creare quella particolare attenzione di massa non c'è più, perché Joanna ha avuto successo (o meglio, il successo che era lecito aspettarsi) e ha un suo pubblico abituato già al massimo ardire che poteva raggiungere l'Artista. Su "Have One On Me" si è dunque mantenuto il più stretto riserbo sino a un mese dall'uscita: da lì mano a mano sono state rilasciate pillole. La durata, la copertina, la tracklist. Un primo brano, un secondo, un terzo. Non si sono tirati in ballo collaboratori altisonanti, né anticipazioni giornalistiche pronte a decantarne le lodi.
Il leak definitivo è comparso solo pochi giorni fa, quando in realtà si era già iniziato a discutere di qualcosa solamente poco più sostanzioso delle effimere sensazioni: il fatto che fosse un album triplo, le due ore di musica, l'arpa, la forma-canzone, l'orchestra e la band.
Dopo qualche giornata di ripetuti ascolti, finalmente possiamo sostituire l'aleatorietà con un po' di dati. "Have One On Me" è tutto quello che sembrava, e molto di più. Un disco latamente cantautorale, un lunghissimo percorso di fantasia in cui una musicista con una personalità profonda e fuori dagli schemi cerca - e trova - uno status di classico moderno.
"Ys" si presentava come un lavoro d'avanguardia pop - e ciò vale a dire qualcosa di realmente originale - lavorando su tre livelli (voce, arpa e archi) con la massima libertà e fantasia, superando con allegria i dazi di coesione che questo poteva comportare. Laddove il vecchio album eccedeva ardimentosamente nei suoi estremismi, prestando il fianco agli entusiasmi più accesi e alle critiche più razziste e strumentali (che pure avevano un fondo di verità), "Have One On Me" lavora di lima e cesello. I tre piani strutturali si fondono e si arricchiscono, grazie alla maturità raggiunta dalla Newsom musicista, ormai finalmente padrona dello sbizzarrio della sua voce e delle sue composizioni.
Questo, ovviamente, non vuole significare un disco normale, o un disco semplice, o ancora un disco leggero, quanto piuttosto amalgama e scoperta - o forse riscoperta - di strade parallele. La tripartizione dei brani, sei a disco, stante la non diversità strettamente musicale e al di là di eventuali discorsi "meta", potrebbe infatti voler sopperire proprio a eventuali difetti di fruibilità. Difetti che di fatto non sussistono: l'album si può ascoltare benissimo come un doppio da nove.
Il grosso è rappresentato da lunghe ballad di durata fra i sei e i nove minuti, dove per lo più dei casi la Newsom non si cimenta negli infiniti racconti di "Ys" ma assume il ruolo di band leader o di vocalist d'orchestra. Gli archi non svolazzano più sui brani come un'entità sovrastante ma sono parte fra le altre del suono, tutt'uno coi fiati e l'arpa, con il piano e... con la batteria quando presente. Gli angoli della voce sono arrotondati in una sequela di gorgheggi e mezzi falsetti, in modo che il suo particolare timbro childish suoni più pulito e più nel pezzo, portando alla mente Kate Bush per ben più di una volta e con molta cognizione di causa.
Il comune sentire dei brani è arricchito dai recuperi cui si accennava poco sopra. La Newsom cerca maggiormente la forma, cercando di bagnare le sue melodie nei grandi mari del folk, del country e financo della musica nera (e stavolta le memorie sono di Joni Mitchell). Non può più limitare i suoi percorsi ai duelli di arpa e archi e aprire squarci melodici di tanto in tanto, e allora prova a scrivere canzoni che sono sì ancora romanze e percorsi nobilitati dalle musiche, ma che stavolta devono riuscire a reggersi di per sé quali melodie. L'ispirazione che la accompagna è strabiliante, al massimo dei livelli, perché su diciotto brani diluiti in due ore quelli calanti si contano sulle dita di una mano, e si mantengono comunque oltre il meramente dignitoso (ad esempio "No Provenance", "Occident").
Quanto detto sinora lo si riscontra sin dal primo brano, "Easy", una delle melodie più fresche, semplici e immediate, con tanto di strumentazione al completo ad accompagnare le leggiadre evoluzioni canore. Da qui comincia un lungo peregrinare di variazioni a tema: da una dolce sonata per sola arpa ("81") a un ritmato saltabeccare con mescole country ("Good Intentions Paving Company"), da un vecchio canto rurale aggiornato ai tempi dello slo-core ("Baby Birch", con speciale contributo di qualche nota di chitarra elettrica) a uno splendido folk in evoluzione ("In California"), da una desolata serenata ("Go Long") a un madrigale ("Kingfisher") sino a un mezzo blues pianistico ("Does Not Soffice").
I brani si susseguono come rituali antichi, si sovrappongono e si perdono: le melodie diventano familiari una dopo l'altra, si aprono e si svelano, si assopiscono e si rialzano poderose, riempiono le forme, si giovano di un'esposizione mai fine a sé stessa. "Have One On Me" è un disco partecipativo, che cerca, che si pone come obiettivo l'emozione e la compassione, come d'altronde ogni disco "di canzoni" vuole (o dovrebbe voler) fare, e che adatta a questo fine - con una naturalezza a dir poco sorprendente - uno stile ostico e che sembrava andare in tutt'altra direzione (basti pensare a come sarebbe stata messa in musica la title track ai tempi di "Ys" rispetto a quella che abbiamo oggi).
Fare un paragone strettamente qualitativo col predecessore, che nel decennio appena trascorso è fra i migliori dischi in assoluto, è cosa ad oggi assai complessa se a questo vogliamo conferire un'attendibilità seria, anche se, come sempre e come ovvio, è un'operazione che viene naturale.
Lasciando da parte discorsi assai delicati su quale sia davvero il valore dell'originalità, in specie quando questa viene rielaborata in forma classica (o semplicemente più classica), la considerazione più banale è che questo "Have One On Me" alla fin fine mantenga il livello, sottraendogli i diritti di primo arrivato, sommandogli la classicità e le palesi migliorie tecniche, e constatando la finissima qualità della musica contenuta. E che pertanto potrà benissimo anch'esso fregiarsi di un aggettivo quanto mai pesante quale "storico".
Tracce consigliate: "Have One on Me", "Good Intentions Paving Company", "In California", "Kingfisher".
24/02/2010