L’intro di "Fanfare", la title track che dà inizio al secondo album "ufficiale" di Jonathan Wilson, dura quasi tre minuti. Un'introduzione lunghissima, durante la quale, in un incredibile crescendo, alle note di un pianoforte si stratificano, man mano, innumerevoli altri strumenti: chitarre, archi, batteria, organi elettrici. Sembrano lontanissimi i tempi in cui, a uno scarno piano, si aggiungeva solo l’asciuttezza di una chitarra arpeggiata, nell’apertura di “Gentle Spirit”, il disco che nel 2011 ha fatto conoscere al mondo il musicista di base a Los Angeles.
Una distanza che, in questo caso, non si misura in anni, ma in collaborazioni, incontri e persone: tante quelle con cui è entrato in contatto il cantautore della North Carolina nella sua carriera. Niente più trip nel deserto e registrazioni solitarie per Wilson, anzi, gli ospiti che lo affiancano, stavolta, sono numerosi e assai noti: da Roy Harper a David Crosby, passando per Josh Tillman/Father John Misty, Jackson Browne e Graham Nash, solo per citarne alcuni. "Fanfare" è un album pieno: di musicisti, di suoni, di esperienze e sentimenti che si riuniscono nelle tredici tracce di cui è composto.
E forse è proprio questa pienezza, questa perfezione nel sound, a renderlo, nella sua estrema bellezza, molto meno affascinante e magnetico del suo predecessore; tutta la ruvidezza e la spontaneità di “Gentle Spirit” sono scomparse per lasciar posto a una “produzione più matura”, per usare le parole dello stesso Wilson, sicuramente più opulenta e studiata che in precedenza, ma che rimane spesso, purtroppo, sul crinale della stucchevolezza patinata. Ne è un esempio "Dear Friend", simile nella struttura e nell'atmosfera – persino nella scelta stilistica del videoclip – a "Natural Rhapsody", ma di cui, alla fine, si svela solo una parente imbellettata.
Bisogna attendere fino al dodicesimo pezzo, stavolta, per raggiungere il picco emozionale e compositivo dell'album, quella “Lovestrong” in cui, oltre alla meraviglia della magistrale unione di echi floydiani e intermezzi da jam band di fine anni Sessanta, torna a farsi vedere il coinvolgimento emotivo di cui è capace Jonathan Wilson col suo songwriting – aspetto fondamentale che rimane, invece, troppe volte schiacciato sotto la ricerca della perfezione nelle altre canzoni del disco, come nell'occasione sprecata di "Her Hair Is Growing Long". Altrove, l'Lp trova il suo meglio nel sound della West Coast di brani come "Desert Tripping", in cui è accompagnato da Jackson Browne, e "New Mexico", le cui liriche sono firmate da Roy Harper; o nelle lontane reminiscenze lennoniane di "Future Vision".
Sia ben chiaro: "Fanfare" è un ottimo album, se si pensa che in esso il pezzo meno riuscito è l'esercizio di stile di "Fazon", cover degli araldi hippie Sopwith Camel. Conoscendo le capacità e la sensibilità di Jonathan Wilson, però, un "bellissimo disco" non è assolutamente abbastanza.
27/10/2013