La Rune Grammofon continua a tracciare il suo personale vademecum dell'avanguardia contemporanea. Almeno sulla carta, l'incontro tra James Plotkin (Khanate tra gli altri) e Paal Nilssen-Love (davvero innumerevoli le sue collaborazioni) avrebbe potuto non sembrare così azzeccato. Il solo dialogo tra gli strumenti a corde e la batteria corre il rischio di raggiungere facilmente una impasse, una monotonia che potrebbe smorzare gli entusiasmi in men che non si dica. Ma come sinora hanno dimostrato gli esagitati Lightning Bolt, anche Plotkin ha trovato la chiave per aggirare il problema: la brutale alternanza tra schegge di riff e cruda improvvisazione, dando al ruggito delle chitarre un'elasticità tale da amalgamarsi in forme sempre diverse con la batteria.
Un fervente delirio tra lo scalpitio primitivo dei tamburi e le astrazioni dell'effettistica iper-distorta, che partendo da strascichi metal arriva quasi a solcare le inquiete sponde della power electronics. Su tutti torna alla mente il dinamico rumorismo dei Child Abuse, ma il lungo e abrasivo intro per basso solo di Plotkin in “Cock Circus” è anche memore del suo contributo al progetto una tantum Khlyst, assieme all'angelica strega Runhild Gammelsæter.
I fraseggi spezzati di Nilssen-Love assicurano un costante cambio di prospettiva, come se ci trovassimo all'interno del quadro di un efferato Pablo Picasso. Il prodigio sta, ancora una volta, nella capacità di mantenere saldamente una direzione anche laddove essa si manifesta con meno evidenza. Da ultimo dei quattro brani è la title track a rallentare la corsa, nella contemplazione di un paesaggio futuristico che ha le tinte agrodolci dell'ambient-noise di Jefre Cantu-Ledesma.
“Death Rattle” è una prova non scontata, superata lodevolmente da due veterani in ottima sintonia, supportati dall'occhio lungo di un'etichetta che non solo non necessita più di alcuna presentazione, ma che ormai costituisce un trademark e domina dall'alto la florida valle della nuova musica sperimentale.
16/01/2014