Musicista, produttore, cantante, il multi-decorato autore delle isole Fær Øer ha conosciuto la fama grazie al duetto plurietnico di Seal che ha trascinato la sua “You Get Me” anche nelle classifiche italiane (l’altra voce era Mina). Come già scoperto con l’album “The Singer”, Teitur è però molto di più di un autore di canzoni; è piuttosto un colto e raffinato songwriter dalle mille sfaccettature armoniche, sempre abile nel creare canzoni di facile presa ma elaborate e graffianti.
Dopo aver dato vita a piccole gemme pop come “You Get Me”, “Louis Louis” e “Catherine The Waitress”, il musicista anglo-danese ha avvertito la necessità di ritrovare le proprie radici culturali rientrando in patria. La parentesi più pop di “Four Songs Ep” è servita ad accantonare le tentazioni del music-business per una riflessione dai toni amari e non nostalgici che dà linfa vitale a questo nuovo progetto discografico.
“Story Music” è un pugno allo stomaco, un muro invisibile contro il quale le illusioni si frantumano: questo, perché Teitur non è ancora pronto a rinunciare ai suoi sogni, quei sogni che lo hanno portato lontano dalle isole Fær Øer (un arcipelago che si trova nel nord dell'Oceano Atlantico tra la Scozia, la Norvegia e l'Islanda) in cerca di una ragione sociale e culturale che desse un senso al suo ruolo di musicista.
Non è un album facile o gradevole, né un progetto ambizioso e pretenzioso, ma un piccolo insieme di riflessioni sullo sfibramento tra musica e società civile: le prime parole che aprono il suo sesto album ("Hopeful") sono un manifesto del suo disincanto ("Sono pieno di speranza quando la musica si ferma , sono pieno di speranza perché so che non sono il solo, sono pieno di speranza , questo e tutto ciò che sono") e la melodia scivola su note di piano in bilico tra blues e neoclassicismo con una fragilità che scompare di rado.
Raro esempio di cantautore colto, essenziale e poetico, Teitur Lassen vanta una lunga amicizia con Nico Muhly ed è complice delle sue escursioni neoclassiche che hanno dato vita a un'opera per coro e orchestra, “Weekdays”, affidata alla Danish Radio Symphony Orchestra.
Questa insana passione per l’avantgarde viene messa spesso al centro della struttura compositiva di “Story Music “: lo shock sonoro di “If You Wait” e del minimalismo applicato al breve testo della canzone, ha il compito di ridestare l’attenzione dell’ascoltatore sul valore della parola, ed è proprio Muhly l’artefice del pregevole svago lirico che trasforma il testo in un gioco di richiami musicali che esplodono nella parte centrale del brano.
Il trittico che segue è una finestra malinconica su alcune realtà che nessun autore oserebbe mettere insieme in un solo album. La figura di Antonio, la sua ossessione tecnologica e la sua conseguente spersonalizzazione sia umana che culturale è sottolineata con banjo, vibrafono, glockenspiel, euphonium e tuba, quasi a cercare una collocazione temporale e geografica al personaggio perso nell’etere di “Antonio And His Mobile Phones”. Ed è una riflessione amara anche quella di “Rock’n’Roll Band”, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album: la delicata folk-ballad non è un omaggio ai tempi passati (come molti recensori poco accorti hanno sottolineato) ma una riflessione sulle assurdità del mito musicale nell’era contemporanea.
Può suonare pleonastico un album di denuncia sociale e politica, ma Teitur affronta il rischio alla maniera di Randy Newman, ovvero con ironia e disincanto, facendo intonare a un coro di donne e bambini il fiabesco refrain di “Hard Work”, quasi a celare quell’amarezza popolare e civile che denuncia un mondo senza lavoro né dignità. Poche parole possono risultare taglienti e sarcastiche, come in “Indie Girl”, dove ancora una volta è protagonista il farsesco mondo delle popstar.
“Story Music” è comunque un percorso a ostacoli, un album ostico che non suona confortevole o grazioso, ma è anche uno scrigno di armonie preziose, che dopo ripetuti ascolti suonano familiari e liriche. Su tutte svetta il romanticismo intenso di “It’s Not Funny Anymore”, arrangiata splendidamente da Van Dyke Parks, nel quale l’orchestra scioglie tutti i frammenti di poesia, altrove presenti, in un attimo di intensa beatitudine armonica, che si adagia nella successiva piéce orchestral-corale di “Monday”.
Forse qualcuno deve aver dimenticato di avvertire Teitur che l’Europa non è più il continente delle grandi speranze: l’illuminismo, la scienza, la democrazia, il fascismo e il comunismo, il socialismo sono parole che ormai non hanno più senso, come non sembra aver senso il testo di “Gone Fishing, The Palindrome Song”. Questa sensazione di futilità e di evanescenza è forse il vero obiettivo del nuovo album del cantautore, in dieci storie in musica che cercano di ridestare il valore sociale della stessa. Se questo sia un argomento valido o inopportuno sta a voi stabilirlo, quello che resta evidente è il talento del musicista delle isole Fær Øer, a volte discontinuo e ostico, ma senza alcun dubbio straordinario come pochi.
06/11/2013