Clark

Clark

2014 (Warp)
elettronica

Fresco della colossale selezione in doppio disco "Feast/Beast", uno dei più istrionici beniamini della Warp Records, Chris Clark, dà un'altra prova del suo eclettismo, producendo dopo solo un anno di distanza questo suo disco omonimo. Lungo tutto il suo percorso artistico, iniziato con il mirabile calderone di "Clarence Park", Clark ha saputo destreggiarsi sotto innumerevoli profili e personalità sonore, ora rifacendosi ad Aphex Twin, ora (e anche più visibilmente) alla più schizofrenica drum'n'bass squarepusheriana, passando anche dalla folktronica (vedi "Iradelphic"). Talvolta però - tranne che per il suo ultimo lavoro di ampio respiro in cui ha senz'altro avuto modo di esporci un catalogo del suo vastissimo pedigree - il suo distintivo camaleontismo è sfociato quasi nell'impersonale e pedissequo inseguimento di questo o quel registro musicale, senza far emergere in modo lampante un suo autentico marchio di riconoscibilità.

Con questo disco Clark prova a sfondare la barriera del semplice esercizio di stile, riproponendosi con la veste più feroce e graffiante che aveva lasciato ai tempi di "Turning Dragon", dando vita a un corpus indubbiamente più organico e intenso. Con tutto il suo funambolismo, Clark riempie il disco di ombre e pulsazioni viscerali e martellanti, che sfiorano spesso le nebbiose onde metallurgiche di marca SHXCXCHCXSH, la cui influenza è senz'altro la più facilmente riconoscibile, specie durante la prima metà del lavoro ("Sodium Trimmers").
Dopo le prime cataclismiche tuonate di "Ship Is Flooding", già con le ronzanti distorsioni di "Winter Linn" e le decise sferzate di "Unfuria" Clark ci dimostra di aver cambiato direzione verso un suono più riempito e decisamente più personale. Se con i due successivi minuti di intermezzo sembra tornare il sole con le fievoli linee di "Strenght Through Fragility", subito si riparte con lo straniante temporale della già accennata "Sodium Trimmers", forse la traccia più estrema, e con le chiodate inquietanti di "Banjo".

Siamo di fronte a un suono scavato e corrosivo, che mette in mostra ora un artista con ogni sua più celata tensione e tentazione. Con i morbidi echi di "Snowbird" le percosse più granitiche lasciano spazio a volteggi e spirali già più caratteristici della seconda metà della tracklist, sicuramente meno erosiva della prima ma non meno spietata ("Beacon") o sferragliante ("Silvered Iris").
Il disco suona come un vero e proprio percorso di esplorazione nell'intimità del musicista (che, se pur lontanamente e ovviamente senza alcuna pretesa citazionistica, può ricordare le nichilistiche crisi di Trent Reznor), ora esplicitamente "intinto nel petrolio", che procede all'inizio con un acme di disperazione meccanica e che gradualmente va a scomporre con il desertico e quasi ancestrale epilogo di "Everlane".

Certo è che non si può parlare ancora di una vera e propria svolta, infatti anche dopo vari ascolti il disco non riesce del tutto a catturare o stupire. Benché la prima parte dell'album sia più decisa ed elettrizzante, la seconda non possiede una consistenza e una continuità capaci di far gridare al miracolo. Nondimeno, finalmente si ha la sensazione che ogni brano non derivi da un ricalco dei propri riferimenti, ma da una sincera volontà di esplorazione personale. Una nuova rotta che non può far altro che impreziosire la sua ormai invidiabile carriera.

17/11/2014

Tracklist

  1. Ship Is Flooding
  2. Winter Linn
  3. Unfurla
  4. Strenght Through Fragility
  5. Sodium Trimmers
  6. Banjo
  7. Snowbird
  8. The Grift In The Pearl
  9. Beacon
  10. Petroleum Tinged
  11. Silvered Iris
  12. There's A Distance In You
  13. Everlane


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