Il futuro degli enciclopedisti del rock è irto di difficoltà dopo l’avvento della musica digitale, la mole di album disponibili solo in download o in formato fisico e in un limitatissimo numero di copie è sempre più imponente, aggiungendo la corrente moda della cassetta stereo7, si può per un attimo dubitare della possibilità di creare un archivio della musica moderna.
Sam Brookes, pur non rinunciando a una limitata quantità di vinili (150 copie) e cd, ha affidato il suo secondo progetto “Kairos” alle fortune del download legale, una scelta che finora ha tenuto lontano questo eccellente album dal clamore del pubblico e della stampa.
Il cantante e compositore inglese è autore di un folk fragile ed etereo dalla struggente passionalità, che la sua voce triste e confidenziale rende affine alla tradizione di John Martyn e Tim Buckley. Le sue atmosfere solenni e mai eccessivamente malinconiche si allineano altresì alla produzione di artisti contemporanei come i Woods.
Autoprodotto e realizzato con i finanziamenti pubblici dell’Art Council Inglese, “Kairos” è l’attimo fuggente di Sam Brookes (Kairos significa appunto il momento opportuno), un folksinger innamorato delle piccole realtà rurali e della profondità dei valori come amicizia, amore e fantasia, che la frenesia urbana e metropolitana sempre più spesso converte in un linguaggio privo di connotazione reale.
Nessuna perizia tecnica particolare è evidente nelle dieci tracce del progetto, un raffinato finger-picking e una predilezione per accordi minori danno forma a canzoni armonicamente ricche, ma non istantaneamente orecchiabili.
Il particolare registro vocale di Sam Brookes è l’anima delle dieci tracce, il suo passato come corista nella cappella privata del Gran Windsor Park ha forgiato tecnicamente le sue doti di interprete; la sua abilità di salire senza sforzo a un registro superiore partendo da un vibrato timbro da tenore non può che evocare Tim Buckley (in molti penseranno erroneamente a Jeff Buckley per una maggiore familiarità con la sua produzione).
La breve apertura di “Intro” e la fragilità di “Numb” si adagiano subito su atmosfere cupe, attraversate da intrusioni elettroniche e percussioni glaciali alla James Blake, una cornice che si ripropone nel finale con la splendida “Breaking Blue”, qui è la chitarra elettrica a reggere l’atmosfera con pochi spettrali accordi, sui quali la voce si libra senza più freni o regole, con sparuti inserti di synth che accompagnano con mestizia il racconto di un amore vuoto, fatto di plastica.
Il contrasto tra la spensieratezza della campagna e il grigiore della città è sempre rappresentato nei testi: "Io cambierò il mio giorno, se hai più bisogno di me, fuggirò dalla folla solo per esserti vicino", "fuori in campagna dove sentirsi vivi, solo questo pazzo mondo pazzo e tu”, canta in “Crazy World And You”, mentre la ballata scorre tra il rullare morbido delle percussioni e soavi armonie acustiche, con uno dei refrain più accattivanti e memorabili dell’album.
“Kairos” è un album dall’ampia forza emotiva, Sam Brookes sottolinea ogni frase con raffinata enfasi, che anche nelle pagine più vivaci e ordinarie (“James”) trova il giusto equilibrio tra armonia e arrangiamenti, senza mai tradire le radici folk (“One Day”), ma all’ombra di “Inside Out” (del gia citato John Martyn) trova la forza per varcare i confini del genere, e se i frutti sono le originali inquietudini rock ed etniche di “On The Mend” e le ondeggianti sonorità di “Frequency” (la chitarra suona come un arpa) c’è solo da costatare che “Kairos”, diversamente da album più chiacchierati, mantiene quello che promette, ed è un bel sentire.
07/09/2014