Andrew Combs

All These Dreams

2015 (Loose Music)
country, pop

Viene da Dallas (Texas), ma ha trovato in Nashville (Teennesse) la sede più naturale per rivivere i miti e le storie old-fashioned che animano le sue canzoni; lui è Andrew Combs, ventinovenne già salutato dalla stampa come una delle speranze del nuovo country a stelle e strisce. “All These Dreams” è il suo secondo album (terzo parto discografico se si considera un Ep del 2010), realizzato con un cast di musicisti di primo piano della scena country, ovvero Jeremy Fetzer (lead guitar), Spencer Cullum Jr. (pedal steel), Mike Rinne (basso), Ian Fitchuk (batteria), Jordan Lehning (tastiere e aiuto produttore) e Skylar Wilson (percussioni e produzione).

Quello che sorprende è l’estrema confidenza di Combs con tutte le regole della composizione e dell’arrangiamento: tutto suona liricamente perfetto in “All These Dreams”, le undici tracce scorrono come un potenziale greatest hits di un cantautore country-rock degli anni 70 o 80, e la voce leggermente roca non indugia mai nel melenso. Alla fine resta difficile anche scegliere quale siano le migliori canzoni del lotto.
Il profilo stilistico di Combs offre il fianco ad alcune possibili critiche di eccessivo citazionismo: le melodie hanno sempre qualcosa di familiare o già sentito, ma è evidente che “All These Dreams” non punta a quel rinnovo della tradizione magistralmente compiuto da Sturgill Simpson in “Metamodern Sounds In Country Music”, piuttosto ricalca la felice rilettura di Ron Sexsmith di quella terra di mezzo che Eagles e Jackson Browne hanno elevato ad arte nobile.
Definiti i limiti e i pregi dell’album, non resta che lasciarsi trastullare dall’atmosfera rock’n’roll alla Roy Orbison della solare “Long Gone Lately”, dal sapore agrodolce di “Nothing To Lose”, che evoca Fred Neil e Harry Nilsson, o dal pathos della pianistica “In The Name Of You”, che per un attimo sfiora la poesia dell’ultimo album di Bill Fay.

Quello che non manca ad Andrew Combs è certamente il talento: le accorate atmosfere di “Month Of Bad Habits” mostrano una maturità consapevole, che rimanda ai migliori episodi di Steve Forbert, mentre l’orchestra in “Slow Road To Jesus” mette in evidenza la sua capacità d’introdurre elementi barocchi in un contesto delicato senza forzarne il climax.
Tra pedal steel incorniciate da melodie senza tempo (“Rainy Day Song”) e pagine più ambiziose come la struggente “Pearl”, la musica si muove multiforme, indugiando in un pop-rock meno originale ma di sicuro effetto come il singolo “Foolin’”, o in soluzioni easy-listening (“Strange Birds”), che restano piacevolmente in bilico tra nostalgia e raffinatezze melodiche d’altri tempi.  

Anche i testi mettono in evidenza una maturità sorprendente: canzoni come la trascinante title track e la malinconica chiusura di “Suwannee County” rendono altresì evidenti le ragioni per le quali Justin Townes Earle lo ha voluto come set d’apertura nella sua prossima tournée.
Al suo secondo album Andrew Combs fa un passo deciso nella giusta direzione: “All These Dreams” troverà facilmente un posto tra un vecchio disco di Danny O’Keefe o Gene Clark, e se ascoltandolo in viaggio vi sembrerà improvvisamente di trovarvi su una solitaria e ampia highway del Texas o del Tennessee non meravigliatevi, è solo uno degli effetti collaterali.

08/02/2015

Tracklist

  1. Rainy Day Song
  2. Nothing to Lose
  3. Foolin’
  4. Strange Bird
  5. Pearl
  6. Long Gone Lately
  7. In the Name of You
  8. All These Dreams
  9. Slow Road to Jesus
  10. Month of Bad Habits
  11. Suwannee County




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