Pianista, arpista, fisarmonicista, performer a volte eccentrico e surreale, Baby Dee rappresenta insieme ad Antony Hegarty quel mondo di musicisti legati al cabaret, alle torch song del canzoniere americano, che narra della vita di strada in locali fumosi e ambigui, dove il minimalismo sonoro si sposa in forme artistiche, dialoganti col brusio ricco di drammi e intimità dei nottambuli solitari.
La connotazione più freak e quasi burlesca del musicista ha però reso ostico il suo notevole percorso artistico anche ai fan dell’amico-musicista più famoso, una scelta che viene consolidata anche nel nuovo “I Am A Stick”.
E’ il lavoro più lucido e pregnante dai tempi dell’ottimo “Safe Inside The Day”, con Baby Dee accompagnato da un Colin Stetson in perfetta forma, un variegato combo sonoro che si apre con la malinconica e indolente title track: una ballata dai profumi teatrali e drammatici con accordi spezzettati di piano e un criptico rullar di percussioni (Alex Neilson dei Trembling Bells).
Poco ruffiana o confortevole, la musica di “I Am A Stick” rifugge dalla valutazione temporale di molta produzione discografica contemporanea, un album da conservare gelosamente per quei momenti di raro intimismo che ancora appassionano l’ascoltatore più attento e sensibile.
La voce ricca di flessuose movenze tra il diabolico e l’angelico corrompe l’animo delle canzoni, sempre turbate da dissonnanze ritmiche e liriche (“Sky Of Loving Arms”) nonché dalle citazioni di brani famosi come “Ol’ Man River” (1936) di Paul Robeson nella superba “Up Tree River Down/ Wilhelmus”.
Resta amabilmente un outsider, Baby Dee, con corrosive e dispettose ballad da cabaret (“Whose Rough Hands”) che farebbero gola al miglior Marc Almond, un brano dove Colin Stetson s’insinua col suo sax, pronto a disgregare ancor di più l’apparente fluire lirico.
Non è difficile credere al musicista, quando afferma che il suo luogo preferito è il letto, “But In My Dream” e “Big Love” hanno quella gradevole e indolente svogliatezza che accompagna il riposo, tra coperte di seta stropicciate in attesa di amanti invisibili e immaginari.
Cantastorie della solitudine e della tragicommedia, Baby Dee regala esuberanti affreschi teatral-cabarettistici (“Tokyo” e “Bendy Bus”), scherzosi interludi (“Okadoka”) e commoventi pagine pianistiche (“Hymn”) che cesellano in modo perfetto quel delizioso nonsense che ha sempre caratterizzato la sua produzione, e che in “I Am A Stick” suona perfino più disturbante e travolgente che mai.
19/07/2015