Daughn Gibson

Carnation

2015 (Sub Pop)
alternative, songwriter

Che la musica di Daughn Gibson non fosse equiparabile a una versione elettro-rock di Johnny Cash o a uno stravagante futurismo country era ipotizzabile, soprattutto dopo che avevamo percepito le evoluzioni sonore di “Me Moan” come l’alternativa americana ai Joy Division.
Quello che il terzo album dell’ex-batterista stoner-rock mette in chiaro è proprio l’affinità con stilemi culturali affini non solo alla band di Ian Curtis, ma anche a David Sylvian o Scott Walker.

“Carnation” è l’esegesi più sofisticata che l’autore abbia messo in piedi fino ad ora: questo avviene rinunciando a quei cliché di suoni e voce che ne avevano decretato lo status di artista cult. Per chi ha amato l’impatto crudo e inquietante dei due precedenti progetti, c’è il rischio di restare parzialmente delusi.
L’incontro-scontro tra country e art-rock è stato per Gibson l’artificio più naturale per descrivere la nuova realtà della provincia americana. “Carnation" è uno schiaffo ancor più crudo di “Me Moan”, che molti avevano letto come un tentativo poco riuscito di ricatturare quello sporco affare di “All Hell”, che con le sue sole 400 copie fisiche era già oggetto di collezionismo. Invece quella staticità apparente anticipava le attuali evoluzioni notturne e oscure del nuovo progetto, che allo stesso modo in cui Nick Cave ridefinì il concetto di blues con “From Here To Eternity”, rilegge i canoni del folk urbano.

Daughn Gibson ha chiamato Steve Moore degli Earth e il produttore Randall Dunn (Sunn O))), Akron Family, Marissa Nadler), per allestire un vestito credibile e interessante a questa sua evoluzione stilistica, spostando l’attenzione dalla voce al tessuto sonoro, mai così vario e articolato.
Ex-camionista e commesso di un sexy shop, Daughn Gibson (vero nome Josh Martin) racconta l’America quasi alla maniera di Stephen King o Tim Burton, mescolando orrore e normalità in storie dove prostitute, psicopatici, ex-militari della Guerra del Golfo e persone di malaffare dividono il loro tempo tra sesso e pigrizia.

Che un mix di country, hard-rock e synth-pop potesse svilupparsi senza crollare nella banalità è stata la sfida più ardua per il musicista americano, ed è in quest’ottica che “Carnation” rappresenta quasi un nuovo esordio.
Le atmosfere sognanti e riflessive che piano e voce introducono con “Bled To Death” hanno il sapore di un nuovo punto di partenza, le canzoni sono meno definite, quasi tratteggiate, come i testi che lasciano cadere molti dettagli evitando il racconto-cronaca.
Il nuovo album di Gibson si muove per immagini quasi in foto-frame, concedendo meno spazio al voyeurismo e lasciando libera l’immaginazione. Anche la sessualità è meno definita nella sua accezione di genere, al punto che “For Every Bite” sembra uscire da un racconto di Pier Paolo Pasolini, un brano dove l’atmosfera greve e quasi malsana è una delle più ruvide e bluesy dell’album, un intenso slow-doom-rock con un affascinante assolo di chitarra che sconvolge le delicate note del piano.

L’intenzione del musicista è comunque quella di spogliarsi dell’immagine country che lo perseguita dall’esordio, mettendo in gioco le sue passioni per un rock criptico ed elaborato, ed è quello che avviene in modo esemplare in “Daddy I Cut My Hair” dove la musica crea un ponte immaginario tra la musica degli Earth e quella di David Sylvian.
“I Let Him Deal” e “Shine Of The Night” sono gli episodi più vicini al passato, le ritmiche più briosamente rock’n’roll  tengono testa alle atmosfere molto sofisticate, facendo pensare per un attimo non solo a David Bowie ma anche al Bryan Ferry era-“Avalon”.

Non è del tutto indolore il rinnovamento stilistico, a volte la voce resta troppo dietro le quinte e nel variare le coordinate della scrittura vengono alla luce più similitudini che in passato. Ma è solo un piccolo neo per un album dentro il quale abbondano canzoni energicamente spettrali come “It Wants Everything”, dove il suono della steel guitar viene annullato da incursioni hard-rock, o dove honky tonky e chamber-pop incrociano un  frenetico beat ( “Shatter You Through”) con un tono sexy e peccaminoso.
Allo stesso modo “Runaway And The Pyro” resta magicamente sospesa nel suo neoclassicismo quasi cantautoriale, mentre l’ibrido elettro-pop di “Heaven You Better Come In” non disdegna le pagine più malinconiche e turbate dei Depeche Mode, ma tutto avviene con una malcelata indolenza che è alla base di tutte quelle critiche piovute su “Carnation” da parte di alcuni fruitori o critici frettolosi. E la pioggia di synth che sottende alla ipnotica melodia di “A Rope Ain't Enough” vale da sola il prezzo del biglietto.

Il vero dilemma di Daughn Gibson è quello di aver osato, e soprattutto di mettere in mostra una personalità più mutevole e sfuggente di quanto appariva in passato. La velocità con la quale il pubblico assimila oggi la musica non è molto adatta alle tribolazioni magmatiche e oscure di “Carnation”, e solo un ascolto attento e quasi ossessivo vi svelerà la chiave d’accesso per una probabile colonna sonora delle vostre notti insonni.

14/09/2015

Tracklist

  1. Bled To Death
  2. Heaven You Better Come In
  3. Shatter You Through
  4. For Every Bite
  5. Daddy I Cut My Hair
  6. A Rope Ain’t Enough
  7. I Let Him Deal
  8. Shine Of The Night
  9. Runaway And The Pyro
  10. It Wants Everything
  11. Back With The Family




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