Stavolta pensavo fosse successo davvero. “Ecco trovato un disco in cui Dan Bejar non mi frega con la sua consueta eleganza”: le prime impressioni sul decimo (!) disco di Destroyer non erano state infatti delle migliori. Ma, si sa, le prime impressioni spesso non sono veritiere. E se poi si parla di un artista che ormai da quasi due decenni persegue imperterrito un suo ideale di musica slegata dai trend attuali e dalle contingenze del momento, questa banale verità acquista ancora più peso.
Il mondo dischiuso da “Poison Season” è un eden per inguaribili romantici, il cui accesso non è così immediato come in “Kaputt”, di cui riduce sensibilmente la patina new romantic per retrocedere di un decennio e riscoprire l’universo dei 70's. Non che gli anni 80 siano spariti del tutto: fanno, ad esempio, capolino nella big music di “Dream Lover”, il singolone in odore Waterboys che prende i sax vellutati di “Kaputt” e li fa deragliare in un turbinio sonoro ebbro e follemente su di giri. Ma il capolavoro del disco è “Forces From Above”, un chamber-pop dall’afflato spirituale (“I climbed high the cathedral steps, it was getting on/ The evening progresses like a song into the heavens”), con una sezione d’archi magistrale, quasi cinematografica, che fa da contraltare al pulsare delle percussioni, in odore Mpb, e alla rotondità del basso funkeggiante. E’ un pezzo semplicemente incredibile, che condensa in quasi sei minuti l’estrema perizia nel songwriting che Bejar ha raggiunto a questo punto della sua carriera, e che nei momenti migliori è quanto di più originale si possa sentire in giro.
Fa allora, non dico storcere il muso, perché parliamo di canzoni piacevoli e ben fatte, ma rappresenta indubbiamente un calo di ambizione il trittico successivo: “Hell” è la versione in miniatura di “Forces From Above”, e non può che far la figura del topolino dopo una simile perla; se pur più ordinaria e classicista, prende meglio la malinconia pacata di “The River”, una delle tante prese di posizione di Destroyer contro la frenesia della vita cittadina, da cui esorta a fuggire (“Escape from New York, escape from L.A./ Take it from me, leave London”). Un videoclip surreale e vagamente dark fa da supporto a “Girl In A Sling”, traducendone la storia di isolamento e alienazione in evocativi “paesaggi” di periferia abbandonata e desolata.
“Times Square”, ode definitiva a New York City, brilla come certo luccicante soft-rock degli anni 70, tra sax festosi e reminiscenze bowiane nemmeno tanto velate. Altro picco di un disco che forse non manterrà la stessa consistenza qualitativa nel corso della sua durata, ma quando riesce, incanta. E così tra funk notturni (“Archer On The Beach”), scalmanati rock'n'roll ("Midnight Meet The Rain") e meditabonde ballate metropolitane (“Bangkok”) si respirano atmosfere di classe inimitabili a cui davvero è difficile resistere, anche laddove si tingono di una nota di manierismo.
“Poison Season” è il disco cameristico di Destroyer, nonché uno dei suoi più nostalgici ed evocativi; mentre mode pop passeggere vanno e vengono, l’arte di Dan Bejar è cristallizzata in una dimensione atemporale, senza uno spazio definito, se non quello interiore, dell’anima. Perché puoi girare tutte le capitali del mondo, ammirarne i luccichii e il clima di festa. Ma Bejar in fondo ci dice che, alla fine della fiera, siamo tutti irrimediabilmente soli.
04/09/2015