Ormai devoti a un cupo quanto impersonale dream-pop e all’espressione di una malinconia integrata in un maestoso quanto angusto paesaggio sonoro, i Lanterns On The Lake sono certamente diventati un nome riconoscibile, con un sound e una proposta in pericoloso equilibrio tra l’originalità e il più banale imbastardimento di formule già consolidate (il chamber-folk embrionale di “The Crawl”).
Si tratta insomma di un’eccentricità calcolata, formata sullo scontato lirismo di soluzioni-cliché di post-rock d’antan, tanto quanto sull’inespressività sia delle interpretazioni (qui ravvivate da un’inaspettata e saltuaria ruvidità, ad esempio in “Stuck In An Outline” e “Through The Cellar Door”) che della scrittura di Hazel Wilde.
In “Beings” emerge anche qualche arrangiamento Portishead-iano (“Stepping Down”, la gotica “Of Dust & Matter”), che suona però ancora una volta come un gioco al ribasso per la band, come un’omologazione all’aurea medietà di certe proposte inglesi.
Una mancanza di ispirazione nella scrittura che rende narcolettici gli episodi più intimi, che dovrebbero essere la spina dorsale del disco (la ricercata maestosità della title track), e che si riflette impietosamente nei testi didascalici della Wilde. La pesantezza dell’impalcatura diventa così un macigno, sopra basi così fragili.
17/11/2015