È facile immaginarsi Robert Forster, nell’ascolto di questo “Songs To Play”: imbardato in un lungo paltò, fissa l’acqua di un canale di Amsterdam, tra prostitute e sbandati che danzano nella nebbia, in un'atmosfera scherzosamente decadente. Il cantautore ex-Go-Betweens ha raggiunto quell’età in cui viene facile raggiungere una coincidenza pressoché totale tra la propria musica e il proprio essere artistico, che travalica anche i confini dei suoni che si producono con gli strumenti.
Pur nelle sue interpretazioni più consapevoli e adulte, “Songs To Play” sfoggia spesso un’attitudine e una scrittura che riporta ai momenti d’oro dei Go-Betweens, come nelle atmosfere sinuosamente dandy di “Let Me Imagine You”, vera reminiscenza di “16 Lovers Lane” (così come la maldestra sgroppata “I’m So Happy For You”), o nel flamenco indie-pop Wilde-iano di “A Poet Walks”.
Allo stesso tempo, la sensazione è che ci si possa permettere un po’ di tutto, anche numeri irridenti e vagamente inconsistenti come il country Reed-iano di “I Love Myself (And I Always Have)”, trasponendo la rivendicazione d’orgoglio personale in una scrittura sempre un po’ monca, anche nel resto del disco.
Forte di un’identità artistica e di un’ovvia consapevolezza, “Songs To Play” è un invito all’ascolto piuttosto disinteressato; si tratta di un disco da ascoltare solo se “si vuole”, come intrattenere una conversazione sul più e sul meno alla fermata dell’autobus (l’easy listening balearico della bossa nova “Love Is Where It Is”).
Così il disco pare un po’ scivolare via, tra nostalgie malcelate e un’espressività sempre viva (“Turn On The Rain”), generando una simpatia e un’empatia che non possono supplire alla qualità della scrittura, mai in grado di risultare memorabile.
22/10/2015