Ha collaborato con Madonna, Namie Amuro e Kyary Pamyu Pamyu, di fatto trasportando nell'arco di brevissimo tempo un sound e un'estetica dalla semioscurità delle webzine indie al grande pubblico. Nuove starlette della popmuzik lo reclamano a sé (vero, Charli?), e la lista di chi vorrebbe averlo come produttore pare allungarsi di mese in mese. Poco importa che la semi-stroncatura di Pitchfork provi ad arginare il fenomeno. In un'ascesa dirompente che lo ha visto nell'arco di soli due anni passare dall'anonimato alla piena notorietà, Samuel Long, con il suo alter-ego SOPHIE, si è messo in evidenza come il nome di punta di un'intera scena, paradossale rappresentante di un collettivo e della sua filosofia, pur agendo all'esterno della stessa, limitandosi a qualche collaborazione (comunque significativa) con i suoi membri.
Se la PC Music (da intendersi come etichetta e quindi come sua diretta emanazione stilistica) dell'amico e collega A. G. Cook è arrivata dove è arrivata, una discreta parte del merito spetta insomma alla capacità di divulgazione (e di intrusione nei circuiti che contano) dello spigliato producer di stanza a Londra. Se stavate cercando un capro espiatorio, eccovelo servito. Di certo, nei prossimi tempi non saranno in pochi i successori di “Bitch I'm Madonna” a sfilare in giro nelle classifiche di mezzo mondo, e a portare avanti i tratti di un suono e di una linea di pensiero che nella confluenza radicale (per non dire parodistica) di bass-music, j-/k-pop e sonorità mutuate dall'elettronica anni 90 ha trovato un nuovo possibile viatico di comunicazione popolare.
Non si starà qui a tracciare le coordinate e le linee guida che informano il pensiero e il modus operandi dell'allegra combriccola orbitante attorno alla label, d'altronde non è questo il contesto ideale per discuterne. Di certo, “Product” ne è distillato purissimo, sintesi concettuale e musicale di carattere, di fatto il primo tentativo di superare la frammentata (ma ricercata in maniera quasi programmatica) natura del formato singolo che finora ha contraddistinto la scena, in un campionario quanto più possibile completo delle sue potenzialità. E per quanto si tratti più di una raccolta di brani già distribuiti nello scorso biennio che di un album vero e proprio, l'operazione giunge comunque inedita, un'estensione non prevista di un concept espressivo destinato alla fruizione istantanea e fugace, legata se possibile a un'immediatezza altrettanto rapida, che si fissi in testa alla maniera dei jingle pubblicitari più deleteri.
In effetti, non si è poi molto lontani da quest'approccio: melodiole sceme e brevilinee, tutte costruite attorno a un nucleo di subitanea identificazione, testi altrettanto blandi e insignificanti, minutaggio solitamente contenuto, teso a rafforzare la velocità d'infiltrazione dell'idea o del “messaggio”. Lo scarto con cui si concretizza l'operazione di Long è nella forma con cui modella i suoi stacchetti musicali, forma che prevedibilmente coincide in tutto e per tutto con la sostanza degli stessi brani.
Nonostante l'elevato livello di zuccherosità provocato dagli innaturali cambi di pitch applicati alle linee vocali, e al mélange sonoro di cui sopra, spinto agli estremi delle sue possibilità fino a toccare vertici di puro parossismo, ad emergere è la natura più grottesca, velatamente oscura delle “composizioni” di SOPHIE, un ribaltamento prospettico in cui ciascun tassello del puzzle si presenta sotto modalità del tutto difformi rispetto al previsto.
A cavallo tra pop (“Just Like We Never Goodbye”, spinta melodica dai tratti j-pop giocata su sferzanti stop'n'go a cavallo tra Uk-bass e modulazioni happy-hardcore) e sua decostruzione (“Hard”, frenetico adattamento della pc-music ai linguaggi industrial), appiccicose caramelle dall'insopportabile semplicità (“Lemonade”, spiritato bozzetto minimal-bass capace pure di una sinistra deviazione in fascia eurodance) e furbi rimaneggiamenti dell'electro-house che fu (“Vyzee”), le superfici gommose di Samuel Long rimbalzano e si scontrano, inquietano e provocano allo stesso tempo, nel tentativo di rendere destabilizzanti, per non dire insostenibili, contesti e approcci in apparenza del tutto innocui.
In questo svelamento di mostruosità inespresse, SOPHIE ci sguazza che è un piacere, e non accenna minimamente ad attenuare il colpo, anzi, calca la mano dove più gli aggrada, tirando fuori sorprese anche negli episodi apparentemente più statici della raccolta. A tale proposito, “L.O.V.E.” è senza dubbio l'azzardo più sfacciato tra tutti: nonostante la generale sensazione di incompiutezza, e una durata non proprio conciliante, l'idea che informa il brano sposa alla perfezione le ambizioni stravaganti del producer, che sintetizza il suo gioco al massacro nel velenoso impatto tra sballati pattern pseudo-ritmici (dal tocco quasi “concreto”) e placidi soundscape al confine con la ambient-music. Un passo più lungo della gamba, considerata una certa approssimazione dell'incontro-scontro così concepito, ma la vitalità con cui Long affronta la sfida certifica un fervore che si scommette continuerà a macinare anche nel futuro prossimo.
Non poteva esserci migliore ambasciatore per la pc-music, insomma. Anche a costo di farsi prendere la mano, e buttare in cagnara i frutti del proprio lavoro, il nome di Samuel Long, tra tutti i rappresentanti della comitiva, è quello da segnarsi in agenda. Non c'è dubbio che ne sentiremo parlare di frequente.
13/01/2016