Charli XCX

Sucker

2014 (Asylum / Atlantic)
electro-pop, power-pop

Non ha di certo penso tempo, Charlotte Aitchison. A poco più di un anno e mezzo di distanza da un “True Romance” che esaltò (anche troppo) una buona fetta della stampa specializzata di settore, e analogamente si è accattivato le grazie dello schizzinoso pubblico indie in cerca della sua icona female-pop di riferimento, la ventiduenne londinese ne ha davvero tanta fatta di strada, scrollandosi di dosso molta dell'allure “alternativa” delle origini e mostrandosi parimenti decisa a tentare una carriera di più ampio respiro, che sbarcasse, perché no, anche sugli scoscesi lidi del mainstream.
Già al chiudersi del 2013, all'altezza dell'uscita di “SuperLove” e del suo video dalle tinte irresistibilmente pop, della vecchia Charli XCX pareva essere rimasto soltanto un alone indistinto, qualche vaga sfumatura che era riuscita ancora a persistere nonostante la netta inversione di marcia (da rintracciarsi forse nell'ennesima scelta infelice della copertina?). La prima metà del 2014 ha fatto il resto: dapprima apparsa a fianco di Iggy Azalea nel tormentone “Fancy”, co-scritto assieme a quest'ultima, e poco dopo in veste solista con “Boom Clap”, fortunatissima tie-in dello sbanca-botteghini “Colpa delle stelle”, la cantante britannica ha visto crescere nell'arco di pochissimi mesi i propri valori, al punto da dover posticipare l'uscita del suo nuovo album di una stagione intera, in vista di un battage promozionale che come prevedibile non ha tardato a dispiegarsi. Se però si pensa a un facile, quanto assolutamente pronosticabile, accostamento alle tendenze più in voga del momento, si è del tutto fuori strada.

Senza rischiosi accostamenti a trap, nu-r&b e velleità urban di sorta, “Sucker” (a sorpresa pubblicato negli Stati Uniti un mese prima rispetto al resto del mondo, madrepatria inclusa) è infatti lavoro dall'impostazione bianchissima e smaccatamente (quanto ironicamente) teen, che a synth, beat ed effetti di produzione accosta in larga misura un ritorno a chitarre e batteria, il quale permette di scoprire un'attitudine pop-rock e un'energia che nella dark/synth-wave del precedente lavoro trovava ben poca voce in capitolo. Ne viene un disco pimpante e scorrevole, dalla scrittura sbarazzina e irriverente, che macina con assoluta facilità ritornelli trascinanti e melodie misurate al millimetro, in un'economia di gestione e tempi che nelle sbrodolate infinite di tante colleghe è un pregio non di poco conto.
Non proprio tutto è da salvare nell'album, e a volte qualche concessione a certi istinti più bizzarri finisce con il compromettere la resa conclusiva di alcuni brani (“London Queen”, scritta assieme ad Ariel Pink, con tutto che irride con abbondanti dosi di sarcasmo lo stile di vita americano, propende per un glam-rock fin troppo caotico e baraccone nella resa; così “Body Of My Own” perde di vista l'obiettivo e si ritorce sempre più su se stessa, smarrendosi tra i tanti siparietti di cui si compone), eppure per la maggior parte del tempo “Sucker” ha ben chiaro cosa vuole rappresentare e come rappresentarlo, a costo di inimicarsi i favori sia della frangia indie più ortodossa, che di chi dal pop cerca soltanto raffinatezze “d'autore” con cui appagare il proprio palato.

Impegnata a dimostrare che il bubblegum pop, se frutto di un'elaborazione personale, può (anzi, deve) rivelarsi un'esperienza tutt'altro che scontata e prodotta in serie, la Aitchison, con l'aiuto di un valido entourage di collaboratori (Rivers Cuomo, Ariel Rechtshaid e Rostam Batmanglij dei Vampire Weekend nella rosa), anche nell'assecondare in apparenza troppo il lato più furbescamente adolescenziale della propria penna, sa trasformare questa stessa relazione pericolosa in un quadro, nostalgico e allo stesso tempo spietato, della fase delle trasformazioni per eccellenza, trattata con un'ironia e una pluralità di sguardi che potrebbe attrarre anche un pubblico più in avanti nell'età.
Se quindi la dolcezza sintetica di “Boom Clap”, col suo refrain che ha fatto il giro del globo, surclassa in scioltezza ogni pezzo dell'ultima Taylor Swift, altrove Charli affila le unghie e impugna saldamente la direzione dei suoi pensieri, ora improvvisandosi maliziosa chanteuse anni 80 (“Doing It”, ora rieditata in un duetto con Rita Ora, potrebbe arrivare da qualche compilation di chicche perdute dell'epoca), ora invece dandoci dentro di chitarre e piglio rock, muovendosi tanto abilmente nel vischioso territorio dello stomper (“Hanging Around”) tanto quanto in più flessuosi motivi perfettamente cuciti sulla sua immagine, scherzosamente insolente ma mai eccessiva (“Gold Coins” in questo senso, con quell'arrangiamento zampettante in chiave power-pop, si pone a vetrina del nuovo corso creativo della cantante).

Tutt'altro che le pose finto-punk della prima Avril Lavigne, insomma: c'è profonda conoscenza del materiale di partenza, tanta voglia di sano divertimento e una spregiudicatezza nel muoversi tra i meccanismi del pop da classifica che tanti altri nel settore semplicemente si sognano. Insomma, Charli XCX ha deciso quale sentiero percorrere: a parere di chi scrive, ha compiuto la scelta giusta.

10/01/2015

Tracklist

  1. Sucker
  2. Break The Rules
  3. London Queen
  4. Breaking Up
  5. Gold Coins
  6. Boom Clap
  7. Doing It
  8. Famous
  9. Body Of My Own
  10. Hanging Around
  11. Die Tonight
  12. Caught In The Middle
  13. Need Ur Luv




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