Molte delle novità musicalmente più interessanti in questi ultimi mesi arrivano da un gruppo di giovani cantautrici che stanno emergendo, grazie a una serie di dischi particolarmente riusciti.
Nomi sconosciuti ai più stanno diventando sempre più familiari: Courtney Barnett, Waxahatchee, Olivia Chaney sono solo alcune di loro, fra le migliori, ma sono in molti a pensare che la più brava potrebbe essere (o diventare) Torres, al secolo Mackenzie Scott, ventiquattro anni, proveniente da Nashville ma attualmente residente a Brooklyn (e dove altrimenti?), giunta al secondo disco dopo l’omonimo esordio di due anni fa.
Le aspettative sono quelle di riuscire a scovare fra queste songwriter di nuova generazione le nuove Tanya Donnelly, le nuove Cat Power, le nuove PJ Harvey, oppure, qualora volessimo fare un esempio più recente, le nuove Anna Calvi.
Mica facile, e solo il tempo potrà svelare il responso, intanto Torres pare volerci astutamente giocare un po’ su, coinvolgendo in “Sprinter” sia Rob Ellis che Ian Oliver, entrambi con trascorsi importanti proprio con la sempreverde Polly Jean.
La neo biondina Mackenzie è anche sufficientemente fotogenica, il che non guasta per mirare a uscire fuori dalla propria nicchia d’appartenenza, e inizia a giocarsi seriamente le giuste carte: lì dove il primo album si presentava a tratti acerbo, oggi tutto pare scorrere per il meglio, in una studiata alternanza di momenti melodici, a tratti malinconico-depressi e introspettivi, e decisi slanci elettrici.
Già le prime canzoni che avevano anticipato l’album, vale a dire “Strange Hellos” e la title track, si muovevano in questo contesto, comportandosi come il miglior spot possibile per l’intera tracklist a venire.
Ma ora che abbiamo tutto il disco a disposizione, scopriamo che i momenti intriganti sono parecchi, sia quando la ragazza decide di colpire l’ascoltatore in maniera netta e diretta (“New Skin” è in tal senso l’esempio più immediato), sia quando punta sulla quiete e sulle linee melodiche (“Ferries Wheel”, la lunga conclusiva “The Exchange”).
Non manca il ricorso a una (pur moderata) dose di sperimentazione (“Son, You Are No Island”) per completare un album che proietta la Scott definitivamente all’attenzione di pubblico e critica.
Forse Torres alla fine avrà davvero la capacità di dimostrarsi la migliore e più interessante fra le giovani rampanti nuove guitar girl del circuito indipendente, ma se così non dovesse essere, le andrà comunque riconosciuto il merito artistico di aver partorito un disco che resterà senz’altro fra i più riusciti del 2015. E non è certo poca cosa.
17/05/2015