Un solo sentimento, finanche vago o sommerso nella percezione complessiva della realtà, è capace di ispirare un intero percorso artistico col quale può crearsi un rapporto di interdipendenza e alimentazione reciproca. Per Benoît Pioulard si tratta del carattere d'impermanenza insito in ogni cosa di cui facciamo esperienza, dall'inizio della vita alla sua naturale conclusione.
Di qui la necessità di "setacciare" gli elementi acustici naturali così come quelli creati in studio, con chitarre e strumenti elettronici, avvolti da una patina in bassa definizione che ne conserva solo i tratti essenziali, mentre i resti di materia sonora si allontanano come tracce transitorie che rifuggono la memoria subito dopo averla attraversata.
È sempre stata questa la listening matter (questione e, appunto, materia dell'ascolto) del Thomas Meluch solista come di alcuni progetti collaterali (vedi Perils, con Kyle Bobby Dunn), testimonianze similari di una mente che cancella ma non elimina, che come pratica terapeutica accumula e cataloga copie sbiadite di istantanee sensoriali, siano esse in forma di canzoni o di pure astrazioni strumentali.
La cornice concettuale di "Hymnal" appare adesso come un caso eccezionale nella produzione di Pioulard, che oggi fa anzitutto i conti con la perdita del fratello, accadimento che inevitabilmente porta a riconsiderare tutta una vita, contenitore che riempiamo di ciò che può attribuirvi un significato e una direzione più o meno definiti, nei quali rispecchiarci e confrontarci sempre con l'avanzare del tempo.
I frammenti accumulati, più che riuniti, nell'ultimo album edito dalla casa madre Kranky hanno più che mai l'aspetto di residui d'ispirazione, intesi non come B-side ma proprio come atti incompiuti espulsi dal processo creativo, gesti artistici assecondati per un attimo soltanto e subito abortiti, lasciati indietro nella loro minuscola esistenza autonoma.
Ma quella che, almeno sulla carta, può sembrare una pratica dai risvolti fatalisti (“The Sun Is Going To Explode But Whatever It's OK”), è piuttosto un sentiero di crescente consapevolezza che trova conforto nell'immagine cangiante del reale, un apprezzamento che può salvarci da quel passo in più che ci farebbe sprofondare nel buio esistenziale (“I Walked Into The Blackness And Built A Fire”).
In questo breve saggio stilistico trova spazio anche l'ingenua semplicità di una canzone che, elaborata più a lungo, avrebbe potuto assumere tutt'altro spessore oppure, semplicemente, venire scartata in favore di episodi più pregnanti. La fase attuale è tesa alla conservazione: nel suono come nella logica, quantomai simile a un Syd Barrett che non ha voglia né necessità di liberarsi di tutto ciò che costituisce un cenno d’esistenza, per quanto esile e aleatorio – similmente ai nastri consunti che lo trattengono.
25/10/2016