Successore di “Last Summer” (2011) e “Personal Record” (2013), il terzo “New View” di Eleanor Friedberger emerge dalla sua ancora scarna discografia solista come il più solido tentativo cantautoriale e bandistico.
“He Didn’t Mention His Mother” è ad esempio una delle sue migliori canzoni (forse anche per via di un ricalco malcelato della “Wild World” di Cat Stevens). Aromi west-coast e folk-rock emanano da svariate altre. Pose alla Neil Young e percolazioni vaudeville svirgolano “Open Season”, e ancora più attrattiva è “Sweetest Girl”, con cui recupera peraltro un po’ della verve demenziale dei suoi Fiery Furnaces.
Guidate dal piano elettrico, “Your Word” e “Because I Asked You” sono inferiori, e con le più lunghe “Two Versions Of Tomorrow” e “All Known Things” l’autrice di nuovo si sopravvaluta credendosi chissà quale grande narratrice. Ma almeno la finale, sudista “A Long Walk” vince scimmiottando di nuovo i maestri (un po’ la sua “Like A Rolling Stone”).
Il suo miglior album per almeno un terzo della sua offerta, per via di una band compatta, peperina talvolta, e con tendenza agli spizzichi di jam, e soprattutto per l’umore meno corrivamente retro-pop e appena più votato alla riflessione. E’ anche l’opera che amplia lo spettro delle sue capacità strumentali (vedi “Never Is A Long Time”, gemma di stomp acustico a mezza voce). Preceduto dal singolo “False Alphabet City” (2015), testimonianza della sua collaborazione con l’artista visuale Sara Magenheimer.
24/01/2016