Insomma, siamo dalle parti delle produzioni di Monika Enterprise e, più nello specifico, di manipolatrici sonore come Barbara Morgenstern e Gudrun Gut. Dalla prima Munsha riprende (quanto consapevolmente è tutto da stabilire...) una certa "luminosità" mitteleuropea, dalla seconda una fisicità e una verve ritmica liminale, senza tuttavia arrivare agli estremi "neubauteniani" di album come "Wildlife" e "I Put A Record On", tanto per citarne un paio. Soprattutto, a differenza delle musiche cupe e destabilizzanti dell'ex-Malaria!, i suoni camaleontici di Munsha recano un senso di spaesamento e di meraviglia quasi epifanici, probabilmente indotti dai cortocircuiti culturali che una città aperta come Berlino può indurre in un giovane che viene da un paese diverso.
Nel complesso, i pattern sono curati, la produzione pure e sicuramente a Munsha non fa difetto la creatività. Il punto di debolezza del lavoro è una certa qual vaghezza d'intenti. Il suono di questi quattro pezzi (comunque interessanti) è così deterritorializzato e trans-sonico che si fa fatica a rinvenire una coerenza progettuale sottostante. Il passo successivo dovrà essere proprio quello di trovare una direzione più marcata lungo la quale procedere.
(31/08/2016)