Malaria!

Malaria! - I germi della Neue Deutsche Welle

Tra plumbee atmosfere elettroniche, clangori industriali e sax dissonanti, le intrepide Gudrun Gut e Bettina Köster forgiarono, all'ombra del Muro, una delle esperienze più originali della new wave teutonica, nonché quella che resta, ad oggi, la più importante band femminile tedesca. Ripercorriamo la loro breve ma folgorante saga, con un capitolo finale sull'appendice Autonervous

di Claudio Fabretti

C’era una volta la Neue Deutsche Welle, ovvero la new wave che mise radici su in Germania, laddove i corrieri elettronici avevano aperto le porte al Cosmo e la rivoluzione kraut aveva tracciato nuove autobahn al rock.
La nuova onda tedesca, a partire dal 1976, sprigiona tutti i suoi germi contaminati dal punk e dalla new wave di marca Usa-Uk, facendoli attecchire nelle cantine underground di plumbee metropoli industriali come Berlino Ovest, Düsseldorf, Amburgo, Hannover. A ideare il termine, nel 1977, è uno studente, Jürgen Kramer, in una fanzine super-settoriale, Die 80er Jahre. Quindi l’espressione Neue Deutsche Welle appare per la prima volta in una pubblicità della casa discografica berlinese Der Zensor, sulla rivista musicale Sounds, nell'agosto 1979. Nell'annuncio, veniva associata al primo album dei Deutsch-Amerikanische Freundschaft, che saranno in effetti tra i principali protagonisti del movimento. Due mesi dopo, il termine, verrà rispolverato dal giornalista musicale Alfred Hilsberg per il titolo di una serie in tre parti di articoli per il Sounds ("Neue Deutsche Welle - Aus gray Stadtmauern"). L’etichetta NDW non si riferiva a uno stile musicale uniforme, ma a una vasta congerie di gruppi e artisti dalle attitudini disparate, tenuti insieme dall'utilizzo della lingua tedesca, dalla freschezza delle proposte sonore e da una carriera relativamente breve. Un live fast, die young di marca teutonica, insomma, applicato a un’esperienza come la new wave che nasceva sulle macerie dell’ormai agonizzante punk ma che pareva, a sua volta, condannata a esaurirsi in poco più di un lustro. In più, Berlino aggiungeva quel tocco plumbeo di guerra fredda e angoscia nucleare che con la new wave ha sempre fatto rima.



A Berlino… va bene

Gudrun GutC’è un filmino in Super 8 che accompagna una canzone post-punk irriverente e contagiosa, nata proprio nella lacerata Berlino dei primi anni 80, che fece da humus anche alle esperienze tossiche raccontate nel film di “Christiane F.”, habitué proprio quei circoli artistici. In un’ambientazione degradata tipicamente punk, ai margini del Muro, tra edifici fatiscenti occupati da squatter e auto in fiamme ai margini della strada, si scorgono alcune misteriose fanciulle dai volti pallidi e dalle labbra scarlatte, che sembrano incuranti della realtà minacciosa che le circonda, mentre tra strappi dissonanti di sax e distorsioni di chitarra accompagnano quel ritornello accattivante, in un’atmosfera di oscura eccitazione. La canzone si chiama "Your Turn To Run" e diventerà una delle pochissime hit di quella band tutta al femminile denominata Malaria!
Li chiameranno anche “Geniale dilletanten” (brillanti dilettanti), i gruppi del sottobosco tedesco dei primi Eighties, dal nome di un celebre concerto che ne mise insieme molti al Tempodrom di Berlino nel 1981. Con quella loro visione naif dell’avanguardia, fatta di film in super 8, fanzine, sintetizzatori economici e drum machine nonché strumenti rimpiazzati a volte addirittura dagli elettrodomestici. E di dilettantesco, in effetti, c’è molto nell’intera produzione delle Malaria! e dei loro compari dell’epoca, tra i quali vanno annoverati i Die Haut, con cui condividevano la sala prove, e i Birthday Party di Nick Cave, germinati proprio in quegli umidi scantinati berlinesi.
Ma le origini delle Malaria! sono da rinvenire in un’altra band con la stessa iniziale, Mania D, incarnazione musicale della carismatica Gudrun Gut.

Mania D


Nata nel placido Lüneburg, regione della Bassa Sassonia, tra le città di Amburgo, Hannover e Brema, la giovane Gudrun è irreversibilmente attratta dal caos berlinese, dove pensa che la sua vocazione artistica potrà trovare finalmente la giusta linfa. All’ombra del Muro, a partire dal 1975, passa da un progetto all’altro: inizia a studiare arti visive alla scuola d’arte Hochschule der Künste, quindi entra nella congrega rumorista degli Einstürzende Neubauten, capitanata da Blixa Bargeld. Si esibiscono per la prima volta nell'area dell'Üntergang, un ex-mattatoio diventato centro della scena musicale underground berlinese. E fin dall'inizio introducono l’uso spericolato di strumentazioni atipiche, comprendenti martelli pneumatici, lamiere metalliche, tubi flessibili, compressori e altri elementi capaci di creare un suono alienante, ricco di dissonanze, perfettamente rappresentativo della moderna civiltà industriale disumanizzante.
Ma a Gudrun Gut il ruolo di comprimaria non piace proprio e poi sogna di creare una band tutta al femminile. Ne parla spesso con la sua inseparabile amica dell'università Bettina Köster, sassofonista provetta, insieme alla quale ha già fondato un “concept shop” sulla Golzstraße. Il nome è tutto un programma: Eisengrau, “grigio ferro”. E il negozio, zeppo di magliette, fanzine, nastri bootleg e gadget alternativi assortiti, diventa presto un punto d’incontro per l’intera comunità musicale sotterranea della città del Muro. È proprio a Eisengrau che Gudrun e Bettina incontrano Beate Bartel, anche lei con una breve militanza all’attivo negli Einstürzende Neubauten, ma decisa a formare un’altra band. Così nel maggio del 1979, Gudrun, Bettina e Beate uniscono le forze con Eva-Maria Gößling e Karin Luner (già allieva del batterista di Lou Reed, Fred Maher, a New York) per formare i Mania D. Un progetto eccentrico, che mescola, per dirla con Battiato, free jazz e punk inglese, con una spiccata attitudine “visual”. I frame sgranati del filmino "Fashion Interlection" di Karin Luner del 1979 mostrano le ragazze in abiti verde smeraldo fatti a mano, con i capelli acconciati con una miscela di birra e uova. Di loro si accorge nientemeno che John Peel, il leggendario conduttore radiofonico inglese, che le definisce "regine del rumore". Ma la festa appena cominciata è già finita: "Non appena ci siamo riuniti spontaneamente, abbiamo subito preso strade separate", ammette Gudrun Gut, che ha già in mente qualcos’altro. Anche Beate Bartel è in fuga, destinazione Liaisons Dangereuses.

Gudrun Gut - Bettina Koster


“Ti piace il mio nuovo cane?”

Dalle ceneri delle Mania D, così, prende vita, nel gennaio 1981, un altro progetto tutto al femminile, in cui Gudrun Gut (batteria, chitarra e voce) e Bettina Köster (voce, sassofono) assumono a pieno titolo il potere. È di fatto un duo aperto, che in seguito annovererà anche altre musiciste. Un progetto talmente contagioso che lo chiamano Malaria!
“Volevamo rompere le regole della musica”, racconterà una spavalda Gudrun Gut in una intervista di qualche tempo dopo. E anche i testi – aggiungiamo noi - erano piuttosto dissacranti, con i loro sproloqui su capitalismo, sesso e amore, cantati sia in tedesco, sia in inglese.

Nell'aprile 1981 esce l'Ep omonimo Malaria!, dissonante manifesto del loro surrealismo brechtiano, in cui squarci di free jazz (essenzialmente, il sassofono tenore di Bettina) rendono ancor più straniante l’ossessiva matrice post-punk di partenza. Un sound metropolitano, industriale, tenebroso, tipicamente teutonico. Ne è una sintesi perfetta la fanfara sbilenca di “Laufen” in cui le due balbettano vocalizzi e urla strozzate su una martellante andatura dettata da percussioni di marca (inevitabilmente) Neubauten. La liturgia minacciosa di “I Will Be Your Only One” è di fatto l’incubatrice della successiva (e più celebre) “Your Turn To Run”: basterà solo accelerarla e accentuarne la base elettronica per dar vita a uno dei loro indiscussi gioielli. La litania di “Verführung” è invece un grottesco “Bertolt Brecht meets Nina Hagen” su un beat monocorde appena screziato dai graffi del sax.

MalariaRinfrancate dai riscontri positivi dell’Ep, Gudrun e Bettina decidono di ampliare l’organico ingaggiando Manon Duursma Pepita (chitarrista, già alla corte di Nina Hagen), Christine Hahn (tastiere, batteria, chitarra), formata alla scuola di Glenn Branca (The Static), e Susanne Kuhnke, ex-Die Haut, al sintetizzatore. “All’inizio ho imparato la chitarra classica, ma in tempi punk – con Mania D e Malaria! – abbiamo deciso tutte di suonare strumenti per i quali non eravamo stati addestrati”, spiegherà Gudrun. Insieme, partono per un tour che le vede aprire i concerti per band come New Order, Siouxsie and the Banshees e Slits. Quindi, registrano il singolo “How Do You Like My New Dog?” per l'etichetta belga Les Disques du Crepuscule: un altro bel saggio del loro post-punk espressionista, con una struttura più compiuta e cupi bassi di marca gothic ad accompagnare il canto magnetico e sinistro di Köster, sfregiato dai consueti interventi spiazzanti del sax. Finalmente il loro mentore John Peel riesce ad averle nei suoi studi per una session nel 1981.
Parte quindi una tournée statunitense, durante la quale le Malaria! si esibiscono a New York con artisti quali The Birthday Party (alla Danceteria) e John Cale (al Mudd Club), nonché con la connazionale Nina Hagen al leggendario Studio 54. Di fatto si tratterà del primo tour a esportare la Neue Deutsche Welle negli Stati Uniti.

Consolidate dall’esperienza americana, le Riot grrrl ante-litteram di Berlino pubblicano un nuovo Ep, New York Passage (1982), prodotto da Eric Dufaure per la Cachalot records. Un piccolo capolavoro in miniatura.
La prodezza è l’iniziale e succitata “Your Turn To Run”: una stupenda liturgia coldwave con la voce algida e sempre più goth (Siouxsie?) di Bettina Köster puntellata da strati e giri ipnotici di tastiere, riff acuminati di chitarra, handclapping e irruzioni dissonanti del sax, mentre i vocals caotici acuiscono il clima di smarrimento: raggiungerà la top 10 delle classifiche indipendenti sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito. “Zarah” sembra uno dei numeri mediorientali avantgarde dei Tuxedomoon intonato da Nina Hagen in uno squallido night-club berlinese: una macedonia impazzita di suoni all’insegna di uno sfrenato surrealismo. Infine, “Duschen”, con il suo recitato teatrale iniziale che presto cede il passo a una galoppata post-punk in cui il sax s’infila sinistro nel muro del drumming.

Malaria


Acqua fredda e limpida

MalariaÈ il momento d’oro delle Malaria!, che in occasione di un nuovo tour europeo, danno alle stampe un nuovo Ep, White Water (1982), in cui brilla quella che resterà la loro canzone più famosa, “Kaltes Klares Wasser” (letteralmente: “Acqua fredda e limpida”): una filastrocca spiritata e contagiosa propulsa da una base coldwave, disturbata da liquide frasi di piano e riff di chitarra. Pura tanzmusik in salsa industrial destinata a diventare un evergeen del post-punk, al punto da venire anche ripresa dalle Chicks on Speed. Meno efficace ma comunque interessante l’altro esperimento di “Weisser Himmel, Weisses Meer/White Sky, White Sea” che l’affianca nell’Ep, sorta di cerimoniale monocorde dove il battito ossessivo e il recitato alienato si saldano a feedback di chitarra sempre più incalzanti.

A definire in modo più compiuto e organico la loro formula musicale, giunge a stretto giro il primo album Emotion (1982). È una summa del loro gelido post-punk industriale, notturno e dissonante, che si snoda in una serie di pannelli sonori minimalisti, aperti da un grido d’allarme: “Achtung! achtung!/ geld regiert die welt/ neue religionen, alte religionen” (“Pericolo! Pericolo!/ I soldi fanno girare il mondo/ nuove religioni, vecchie religioni”): è l’ululato gutturale di Bettina Köster a stagliarsi su un rullo compressore di tamburi disco-synth, mettendo in guardia sulla nuova religione del denaro (“Geld/Money”, accompagnata anche da un bel video diretto da B.Bühler e D.Hormel che si aggiudicherà anche alcuni premi). Attraverso i ritmi ossessivi, i loop forsennati dei synth e il caos cacofonico di sax dissonanti e chitarre distorte, suonate spesso con accordatura più alta, le Malaria! esprimevano tutto il disagio di una generazione per lo sviluppo disumanizzante e alienato della società industriale, tentando di recuperare una sorta di purezza originaria, lontana parente di quella che, a diverse miglia di distanza, vagheggiavano gli irlandesi Virgin Prunes di “…If I Die I Die”. In Emotion, però, è tutto molto più asciutto e desolato. È nichilismo punk polverizzato in bozzetti proto-industrial e coldwave, con una sensibilità tipicamente femminile, anche se non nell’accezione più abusata del termine: “Indossavamo sempre stivali pesanti. Eravamo donne forti, non fate delicate, volevamo sottolinearlo”, spiegherà in seguito Gudrun Gut. E le farà eco la compare Bettina Köster: “Le donne hanno un diverso tipo di ritmo, che puoi sentire molto chiaramente nella batteria di Gudrun. Riceveva sempre i complimenti perché non riusciva a tenere il tempo! Ma era intenzionale, perché volevamo rompere lo schema che era sempre pervasivo nella musica punk... Volevamo esplorare l'aspetto femminile, libero da preconcetti e regole stabilite”.
Sempre in bilico tra caos rumorista e paesaggi interiori più riflessivi, le Malaria! spaziano dalla sarabanda astratta e sinistra di “Eifersucht/Jealousy”, sorta di cacofonia per sibili industriali, chitarra subliminale e tamburi funebri, alla tenebrosa abulia del requiem “Slave Of My Ambition” e dell’atmosferica strumentale “Einsam/Lonesome”, appena sporcata da qualche ronzio di sax in lontananza, dal teatro dell’orrore di “Desire” ai lied industrial-jazz di “Traum/Dream” e “Mensch”, dove il sax selvaggio di Bettina s’insinua tra i clangori e i glitch dei macchinari, come a volerne quasi sottolineare il malfunzionamento. E se il valzer sbilenco di “Macht/Power” accentua i toni più surrealisti della loro arte, la splendida “Leidenschaft/Passion” riesce a scavare sottopelle con la sua dirompente sensualità filtrata dalla voce ipnotica di Bettina tra muraglie di tamburi, barriti di sax e densi strati di elettronica gothic-industrial.
Vertice drammatico del disco è probabilmente "Tod/Death", in cui sale in cattedra ancora Köster con il suo lamento sensuale e agonizzante, che sfrutta perfettamente le inflessioni poetiche del tedesco per evidenziare strofe mortifere come "Ich kuesse den Staub/ Ich hasse den Staub" (“Bacio la polvere/ Odio la polvere”), dove la polvere allude all’espressione “Cenere alla cenere, polvere alla polvere”. Con il fantasma di Nico che aleggia sullo sfondo.
Emotion, che sarà anche distribuito in Giappone dalla Columbia, suggella la nuova frontiera teutonica delle Malaria!, sorta di evoluzione proto-industrial e dark del vecchio, caro kraut-rock, dal quale recupera anche un’attitudine free jazz e avantgarde, unita a un gusto teatrale decadente di marca tipicamente brechtiana.

Dopo aver promosso l’album in un lungo tour europeo tra Regno Unito, France, Benelux, Italia e Scandinavia, le Malaria! pubblicano un nuovo Ep, Beat The Distance (1983), dove trovano posto la lugubre novelty synth-pop di “You You”, il cabaret straniante di “Meeting Place” e l’incalzante “Trash Me”, con la sua ritmica secca e implacabile al servizio di una nuova litania espressionista che si accartoccia su se stessa nel finale.
Nello stesso anno esce il live ...Revisited, registrato al Dancetaria di New York e al 9:30 Club di Washington D.C. il 27 e 28 maggio del 1983.

A questo punto, le cinque ragazze di Berlino decidono di prendersi una pausa. È un periodo di svolte musicali, la new wave – inclusa la sua declinazione tedesca Neue Deutsche Welle – sta progressivamente tramontando, in favore di un nuovo pop elettronico. I germi delle Malaria! non possono più attecchire come un tempo. Così Bettina e Christine si trasferiscono a New York, mentre Gudrun e Manon formarono le Matador con l’amica ritrovata Beate Bartel, ex-Mania-D.
Nel frattempo, l’etichetta Moabit Musik di Gut fa uscire Compiled (1991), preziosa testimonianza della stagione musicale delle Malaria! comprendente brani dall’album del 1982 e dai vari Ep e 12’’ pubblicati fino a quel momento dalla band tedesca. Tra le chicche ripescate, ci piace ricordare l’assurdista “Geh Duschen”, spiazzante sequenza di recitati apatici, galoppate ritmiche basso-synth e giri di chitarra spaghetti-western (!), il non meno delirante schizzo dadaista di “Dabo” e il numero da cabaret decadente di “Gewissen”, tra Bertolt Brecht e il Nick Cave di “The Mercy Seat”.

La rinascita sulle rive del Mississippi e l’eredità

MalariaSembra tutto finito, ma i germi delle Malaria!, a sorpresa, ri-attecchiscono tra le paludi di New Orleans, dove Gudrun, Bettina e Manon si ritrovano a sorpresa per registrare l'Ep Elation. Ma del suono originale del progetto è rimasto ben poco: la title track sembra un brano dei tardi Sisters of Mercy senza più smalto, meglio semmai la filastrocca sinistra di “Flittchen” e la siouxsiana “Slow Rotation”, mentre la cover della classica “Old Man River”, concepita sulle rive del Mississippi e prodotta da Jim Thirlwell alias Foetus, aggiunge un tocco di surrealtà che non guasta.
A questo punto, la fiammella si è riaccesa e le due compari tornano a Berlino, dove il Muro ormai è caduto da 4 anni, per registrare addirittura un nuovo album, il secondo, di fatto, della saga delle Malaria! Cheerio (1993), prodotto da Johnny Klimek dei Lola Rennt, sfodera una sorta di oscuro dance-pop/minimal-synth da club che però scivola via piuttosto piatto e monocorde, quasi “anestetizzato” rispetto alle visioni allucinate di un decennio prima.
Poco da segnalare, dunque: oltre ai brani dell’Ep precedente, scorrono senza lasciare traccia le pulsazioni da dancefloor di “Keep Me In Love” e “Doesn’t Matter”, l’Ebm sensuale di “Prophet”, i vocalizzi suadenti della title track e le due cantilene tardo-Siouxsie di “Von Hinten” e “Slow Rotation” (forse, gli episodi migliori del lotto). Curiosa, ma non molto di più, la cover elettronica della sempiterna “Lay Lady Lay” di Bob Dylan. La produzione ovattata e patinata non aiuta a recuperare lo spirito più autentico del duo, ma a difettare è soprattutto la scrittura dei brani.
È praticamente il canto del cigno definitivo delle Malaria!. Seguiranno un secondo capitolo dell’antologia Compiled 1981-1984 (2001) e la compilation di remix Versus (2001), che riproporrà anche la versione di “Kaltes Klares Wasser” delle Chicks on Speed.

Resterà però il culto del girl-group berlinese – forse la band tedesca al femminile più importante di sempre - le cui protagoniste non resteranno certo a guardare. A cominciare dall’incontenibile Gudrun Gut, che oltre alla Moabit fonderà anche l’altra etichetta Monika Enterprise, comprendente solo artiste donne, impegnandosi anche in veste di produttrice e ingegnere del suono in svariati progetti paralleli. Inoltre, Gut co-condurrà il programma radiofonico settimanale Oceanclub a Berlino, insieme a Thomas Fehlmann, e debutterà da solista con “I Put A Record On” (2007), all’insegna di un’elettronica minimal sinuosa e trascinante.
Non sarà da meno la sua sodale di sempre Bettina Köster, che oltre a togliersi lo sfizio di posare da modella nel numero di Playboy del 1985 “The Girls of Rock 'n' Roll” (insieme con Grace Jones, Tina Turner, Pat Benatar e Diana Ross), realizzerà vari progetti in veste di scrittrice e produttrice cinematografica, in particolare insieme alla regista svizzera Isabel Hegener. Quindi, tornerà prepotentemente alla musica nel 2005, al fianco di Jessie Evans dei Vanishing, in un nuovo duo di nome Autonervous, e pubblicherà in seguito anche un lavoro solista, “Queen Of Noise” (2009) per la Asinella Records.

autonervousQuello tra Bettina Köster e Jessie Evans è uno di quegli incontri che sembrano scritti nel destino: due generazioni, due storie distanti e complementari. Jessie, infatti, in quel di San Francisco, attraverso una splendida meteora a nome Vanishing, ha consumato la sua parabola folgorante rivitalizzando proprio la darkwave nevrotica e futuristica di cui le Malaria! furono eroine, consacrandosi nuova regina della scena, erede tanto di Siouxsie quanto, e soprattutto, della meno nota ma non certo meno carismatica Köster. Eccole dunque insieme, Bettina e Jessie, entrambe cantanti e sassofoniste, entrambe compositrici creative, curiose ed eccentriche. Autonervous, già side-project dei Vanishing, rinasce così nel segno dell'anarchia e del disordine, con pochi mezzi a disposizione e tanta creatività, proprio come ai tempi che videro la nascita di Abwärts, Neubauten, Malaria! e tanti altri storici gruppi.
Bettina e Jessie, dunque: ma a mettere lo zampino nel progetto Autonervous c'è anche il terzo incomodo e si chiama Berlino. La mitica, selvaggia Berlino post-punk da un lato; quella che Bettina ha vissuto e animato per poi fuggirne nel 1983 e stabilirsi a New York, dove è rimasta per quasi vent'anni lavorando nelle arti visive: dall'altra parte, la Berlino mutante e "tronica" degli ultimi anni che Jessie, californiana auto-esiliatasi dagli States, ha eletto a sua nuova patria. L'una e l'altra ribollono nelle trame fragili e psicotiche di un album creato e composto seguendo nessun'altra logica se non l'ispirazione del momento.
La materia che compone questo disco può venire accostata solo superficialmente al revival new wave o a più o meno recenti e plastificate mode "electro"; in realtà Autonervous (2006) vive in un limbo tutto suo, in un labirinto di direzioni incrociate e vicoli ciechi, in un contrasto di stili, rimandi e citazioni che strisciano e cambiano pelle senza sosta. Beat semplici ma accattivanti, bassi pompati e velenosissimi, occasionali barriti di sax e le due voci che si divertono a giocare tra loro: non c'è altro eppure ogni canzone fa storia a sé.
Che si tratti dell'electro-clash vizioso di "Anchors Aweigh", delle deviazioni pop di "Hello Lovers" o dello splendido, perverso incubo "Sax New Age", l'unione tra le sensibilità e le esperienze delle due risulta naturale e impeccabile e i frutti che ne nascono sono deliziosamente malati e distorti: persino quando coverizzano un vecchio brano di Amanda Lear, "Gold". Nel gelido minimalismo di "Still Kaltes" e nel puro caos creativo che infiamma "Easter Bunny", si compie il matrimonio tra "vecchia" e "nuova" new wave.
I fantasmi dei vecchi Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire accompagnano Jessie in "Don't Wait", mentre alle libidini avant di "Prescription" spetta la chiusura di un album attraente, sporco e imperfetto. Di quell'imperfezione giustificata dalla quantità, e qualità, di idee profuse in questi 35 disordinati minuti di irresistibili wet dreams incastrati tra passato e presente. E i germi sempre prolifici e contagiosi delle Malaria! tornano ad attecchire, ancora una volta.

Contributi di Mauro Roma ("Autonervous")

Malaria!

Discografia

MALARIA!
Malaria (12'', Marat, 1981)

7

How Do You Like My New Dog? (7", Les Disques Du Crépuscule, 1981)

6,5

Emotion (Moabit, 1982)

7,5

New York Passage (12", Das Büro, 1982)

7

White Water (12", Les Disques Du Crépuscule, 1982)

7

Revisited – Live (live, Roir, 1983)

7

Beat The Distance (12", Rebel, 1984)

6

Compiled (antologia, Moabit, 1991)

Kaltes Klares Wasser (Ep, Les Disques Du Crépuscule, 1991)

7

Elation (Ep, Moabit, 1992)

6

Cheerio (Moabit, 1993)5

Compiled 1981-1984 (antologia, Moabit, 2001)

Versus (Ep, Superstar, 2001)

5

AUTONERVOUS
Autonervous (RedEye, 2006)

7

Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming