Madrina del punk tedesco, diva versatile, icona dissacrante, cantante formidabile, capace di coprire 4 ottave di estensione vocale, Nina Hagen - pseudonimo di Catharina Hagen – è una delle figure femminili più affascinanti della storia del rock. La sua penna è stata assai prolifica di testi, scritti spesso fra le strade di Berlino. Canzoni femministe e di contestazione, che hanno segnato una generazione.
Nata a Berlino Est, l’11 marzo 1955 dal matrimonio della cantante e attrice Eva-Maria Hagen, molto popolare nell'ex Ddr, con lo scrittore Hans Oliva-Hagen, Nina ebbe un’infanzia travagliata: i genitori divorziarono quando aveva due anni e da allora vide raramente il padre, mentre la madre si risposò nove anni dopo col cantante e attivista politico Wolf Biermann.
Già a 17 anni Nina era una cantante di successo: il suo brano “Du hast den Farbfilm vergessen” ("Hai dimenticato di prendere il rullino a colori") divenne molto popolare. La canzone, incentrata sulla storia di una ragazza che rimprovera il fidanzato per aver dimenticato la pellicola a colori per la macchina fotografica impedendo ai due di scattare belle foto delle loro vacanze, suona come una sottile satira del grigiore della Repubblica Democratica Tedesca.
Quando Wolf Biermann, suo patrigno e intellettuale dissidente della Ddr (all’indice dopo la sua presa di posizione contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia), fu espatriato nel 1976, Nina lo seguì nella Germania Ovest. In seguito si trasferì a Londra dove stava esplodendo il punk e iniziò a frequentare nomi astri nascenti di quella scena, come i Sex Pistols e Vivienne Westwood. Al suo ritorno in Germania Ovest assume uno stile eccentrico e provocatorio, entrando nelle classifiche con la band pop Automobil, quindi assieme alla sua Nina Hagen Band incise due album dal titolo "Nina Hagen Band" (1978) e "Unbehagen" (1979) che ottennero un buon successo tra i confini nazionali e non solo, alimentando il mito sul personaggio. A trascinarli, le sonorità esotiche di “African Reggae”, il ritmo indiavolato di “Naturträne” (scritta da Hagen a 13 anni) e una nuova versione di "Lucky Number" di Lene Lovich.
Abbandonata la sua band, Nina Hagen si trasferisce negli Stati Uniti, dove riesce a entrare nella Billboard 200 con l’album “NunSexMonkRock” del 1982 forte di brani come “Dr. Art” (in omaggio al disegnatore di Graffiti Ivar Vics, suo ex-fidanzato) e il singolo “Smack Jack”, intenso brano autobiografico sulla tossicodipendenza firmato dal suo fidanzato dell’epoca, Ferdinand Karmelk, che morirà di Aids nel 1988. Dalla breve relazione tra i due, nascerà una figlia, che verrà battezzata Cosma Shiva in riferimento alle due grandi passioni della madre, gli Ufo e l'Induismo. Segue l’Lp “Fearless” dell'anno successivo, prodotto da Giorgio Moroder, che contribuisce a consolidare il suo stile art-punk senza compromessi, appassionato, giocoso e teatrale.
Nel 1987 celebrerà idealmente il suo matrimonio con l'Ep “Punk Wedding” e nel 1989 farà uscire per Mercury l’album omonimo “Nina Hagen”. Pur non riconquistando più un posto nella Billboard 200, Nina Hagen manterrà un seguito devoto in Nord America e continuerà a ottenere buoni riscontri in Europa fino ai primi anni 90, ad esempio con “Revolution Ballroom” del 1993, prodotto da Phil Manzanera.
Sempre indipendente e refrattaria alle logiche del mercato musicale, la cantante tedesca pubblicherà un album di bhajan indù nel 1999 (“Om Namah Shivay”), collaborerà con la Big Band di Lipsia in “Big Band Explosion” del 2003 e sperimenterà musica a tema religioso in “Personal Jesus” (2010), comprendente una cover della omonima hit dei Depeche Mode, che la porterà nella Top 20 tedesca per la prima volta in oltre 30 anni. Riuscirà anche a ritornare nelle classifiche tedesche dopo nove anni con “Return Of The Mother” (Orbit/Virgin, 2000), comprendente un tributo ("Poetenclub") al cantante austriaco Falco, morto in un incidente stradale a 1998. Prese di posizione anti-establishment e a favore dei diritti civili domineranno invece “Unity” del 2022, la cui title track, realizzata assieme a George Clinton, è un tributo al movimento Black Lives Matter. Nel disco troveranno posto anche cover del classico folk "Sixteen Tons", una reinterpretazione in tedesco di "Blowin' In The Wind" di Bob Dylan e brani originali, tra cui "United Women Of The World", scritta insieme a Liz Mitchell dei Boney M..