Come ricorda la copertina DIY (che il frontman Evan Stephens dipingerà a mano per voi, se siete tra i fortunati che hanno preordinato il disco), lo spirito di “Cardinal” è ancora più orientato a un’espressività senza filtri, istintiva come nel songwriting emozionale di Stephens (“Cadmium” ricorda gli Appleseed Cast più melodici, pur senza particolari evoluzioni strumentali; “Visiting” e “Then Again” li trovano in pieno agone emo-power-pop).
Questo minimalismo negli arrangiamenti mette in primo piano l’urgenza espressiva dei Pinegrove, vicina a quella apprezzabile nei migliori lavori dei Frontier Ruckus (soprattutto la colloquiale, verbosamente oziosa “Aphasia”), con un impeto strumentale che rende il tutto la cosa più vicina a “Everything All The Time” che sia uscita dopo “Everything All The Time” (l’accorata “Size Of The Moon”, quegli accordi aperti rimbombanti di “Old Friends”, la bella “Waveform”).
Da “Cardinal” viene fuori così un quadro dai contorni vividi, un tripudio sinestetico di odori, sensazioni tattili, meterologiche, sportive, erotiche, chi più ne ha più ne metta. Tutto ciò che serve ad apprezzare un album di questo tipo – sorprende solo la scarsa durata del disco, se messa a confronto con la corposa produzione precedente, raccolta nell’altrettanto valido “Everything So Far”, pubblicato lo scorso novembre.
(23/02/2016)