In attività da circa vent’anni, la band romana vonneumann, o semplicemente nn, ha da tempo seguito una strada coraggiosa e inconsueta, specie per chi si ritrova a confrontarsi non solo con un mercato discografico capace di dare voce esclusivamente alla proposta opposta, fatta di banale melodia e forma-canzone spicciola, ma anche con una pseudo-scena underground che, a dispetto di quell’aurea alternativa in cui vorrebbe avvolgersi, è anch’essa lontanissima da linguaggi e proposte difformi da ciò che il pubblico riesca a cogliere nell’immediato. Ci hanno provato a inseguire una parvenza di forma-canzone, almeno nelle dichiarate intenzioni, ma il risultato ha lasciato solo il sapore di una presa in giro, di un’ostentazione sarcastica che appare pienamente nel loro linguaggio, che si è sempre distinto per una certa intellettualoide ironia. Basta leggere i nomi dei membri della band (bof, dj, fr, t) o i titoli dei brani o ancora osservare alcune copertine per intuire che i capitolini sembrano fare gli stolti, solo perché consapevoli di non esserlo.
Con all’attivo ben sei full length, i vonneumann portano all’estremo l’idea di do it yourself, e, da sempre, propongono una miscela di free-rock, improvvisazione, post-rock sperimentale e avant-rock accostata a mostri sacri come Matmos o Gastr del Sol ma che, a inoltrarsi bene a fondo, con i suddetti ha meno a che vedere di quanto non possa apparire.
“Sitcom Koan” è il loro ritorno, atteso da chi si era già imbattuto in questi folli romani, eppure inaspettato, che non delude le previsioni ma non ha la forza di superare i limiti già mostrati in passato. A grandi linee, l'intenzione è nondimeno quella di musica impro, in questo caso live, senza alcun cantato e in cui si alterna una variegata strumentazione e un ospite, Marco Carasi, già noto per le esperienze con Kar, Scatole Sonore e Rumore Austero. Una ricomparsa che è intimamente legata al passato, perché le nove tracce, alternate in tracklist da pause fatte di applausi e parole spesso impercettibili date dall’ambiente in cui tutto è stato registrato (da Lucio Leoni, per la cronaca), altro non sono che un concerto al live club Riunione di Condominio nel 2009, sul quale si è fatta un’azione di “pulizia” tale da renderlo un disco da proporre a noi comuni mortali. Il periodo era quello immediatamente successivo al disco “Il de’ metallo” e di quel album ritroviamo, con una nuova veste, due brani, “Requiem per Foroppo” e “8vvv8v”.
Era un prodotto artistico molto audace, in cui i vonneumann registrarono nella più totale improvvisazione, senza che nessuno, loro inclusi, sapesse cosa avrebbe fatto l’altro e fu proprio il disco in cui i nostri affermavano di inseguire la forma-canzone, mai in realtà rinvenuta davvero.
Nonostante lo spirito libero che contraddistingue il gruppo, c’è comunque tanta razionalità in “Sitcom Koan” e la prova è data dal lavoro fatto sulle tracce a seguito della registrazione, elaborazione che ha fornito alla limitatezza dei brani eseguiti una complessità maggiore, specie sotto l’aspetto ritmico, ma anche una migliore lucentezza, quasi a evitare che questo caos controllato sfociasse in un malsano pandemonio.
Molto interessante l’ultima traccia, “completene”, composta di applausi campionati e genuini, tengono a precisare, e su cui sono state aggiunte batteria e chitarre sbilenche e sono proprio gli applausi (come in una sitcom), l’assurdo filo conduttore di quest’opera, a unire chi produce e chi accoglie.
La musica in sé è, come abbiamo anticipato, una miscela d’improvvisazione e successivo lavoro in studio, con un risultato molto diverso da brano a brano. Non c’è quasi impronta di elementi jazz e tutto sembra muovere con più fermezza verso un post-rock destrutturato, che acquista potenza soprattutto quando la sezione ritmica diventa martellante e ripetitiva, anche se l’idea generale che resta durante l’ascolto è di una serie infinita di accenni senza nulla di veramente compiuto.
Se è quasi in stile Bauhaus la prima parte di “Giancarlo International” (poi, ovviamente, seguirà tutt’altra strada) si sfocia nel noise claustrofobico in “D R O H”; se quel po’ di jazz lo possiamo scovare tra le pieghe di “lo rullantaro”, lo stesso pezzo sarà presto un tripudio di tribalismo marziale. Se siamo ai limiti del minimalismo con “In sette lupi”, gli stridori di “Grachtengordel incompleteness” sembrano venire fuori da glitch tagliati da “The Modern Dance”, il tutto detto con la consapevolezza che questa musica poco abbia a che fare con ciò che comunemente chiamiamo rock in tutte le sue sfaccettature.
Ciò che non convince troppo è una percezione fastidiosa che sprigionano alcuni momenti, la quale ci lascia pensare che i vonneumann non sapessero bene dove andare a parare, quasi non si riconoscessero realmente padroni dei loro strumenti, cosa fondamentale per l’estemporaneità; e poi c’è quel senso d’incompiuto che stilla da ogni brano, come se una volta vista la possibile strada da percorrere, questa fosse messa subito da parte per imboccarne un’altra. Tutto ciò diventa un continuo vorticare su sé stessi, con il rischio di stramazzare a ogni piroetta. Ma chi ama certe pavoneggiate follie soniche, saprà trovare la bellezza negli angoli più remoti di “Sitcom Koan”, nelle pause, negli applausi, nelle note e nel rumore, oltre al fatto che non potrà certo non premiare la temerarietà di una formazione che, da oltre vent’anni, combatte in silenzio contro la cultura musicale imposta, con la consapevolezza di poter vincere solo piccole battaglie.
15/01/2016