Innanzitutto crescere, ma rimanendo se stessi. Questa sembra essere l'intenzione del trio (ad oggi quartetto) post hardcore di Correggio, che a poco meno di una decade dal primo Ep "Invasion" può guardarsi alle spalle e godere di un'azzeccatissima carriera fatta di tre album, un eccellente successo commerciale e un posizionamento ad hoc tra le formazioni di provenienza indie ma di risonanza quasi mainstream. Ma la maturità incombe, pesa su Capra, Piter, Sollo e il nuovo arrivato Daniele, che hanno dovuto fare i conti non tanto con le tematiche dell'età adulta, bensì con le responsabilità del successo, inerenti le polemiche, il grande pubblico e - perché no - anche una buona dose di confusione. Tutto questo preambolo non è per affermare che i Gazebo Penguins adesso siano cresciuti, anche perché ciò li sventrerebbe di una loro profonda essenza, ma è per dire che lo stanno facendo, a modo loro.
Se in "Legna" e "Raudo" c'erano le emozioni violente e insensate dell'adolescenza, in "Nebbia" ci sono le elucubrazioni razionalizzanti della post-adolescenza, una fase ignota per certe generazioni un po' avanti con l'età, ma che certamente è un terreno noto per i nati negli ultimi trent'anni. Non sono le esperienze di cui ci parla "Nebbia" ad essere diventate sensate, sono i modi per spiegarle che cercano risposte razionali. La nebbia diviene metafora della ricerca senza una guida, in cui si brancola quando si cerca di comprendere i rapporti umani e i sentimenti che provocano in noi, e cosa c'è di meglio del suono graffiante delle chitarre distorte e un grido disperato per esprimere questo muro perlaceo di confusione?
"Nebbia" si contraddistingue dai precedenti album per un suono ovattato, letteralmente come se si fosse avvolti dalla foschia. Apre le danze "Bismantova" e già qualcosa non torna, la batteria non martella bensì dà il ritmo a un passo immaginario, la chitarra esita in un riff incerto come il bambino in copertina, ma ecco emergere un'elettronica inedita, un'atmosfera sintetica disegna la nebbia, mentre le liriche invocano la stasi, il vuoto, il nero. È chiaro che i Gazebo Penguins ci stanno servendo un piatto diverso dal solito. A confermarlo arrivano brani come il singolo "Febbre" e "Pioggia" che nei fraseggi strumentali ammiccano con evidenza al post-rock di certi Mogwai e in particolare agli Explosions In The Sky.
Ma questo non è un disco di sola riflessione, i Pinguini emiliani esplodono di emo-core nella lunatica "Scomparire", nella rassegnazione all'insicurezza di "Atlantide", fino alle grida in salsa pop-punk di "Porta". Tuttavia è "Nebbia", la title track, a incuriosire parecchio; quando comincia sembra sia partito qualcosa degli Interpol, poi Capra interviene insieme a vocalizzi elettronici in un crescendo che culmina in quel ritornello che non esplode mai davvero intorno alla metà del terzo minuto.
Dunque, cos'è "Nebbia"? Una risposta la si potrebbe ricercare guardando avanti, verso le ultimissime declinazioni che l'emo sta conoscendo oltreoceano, ad esempio nei recenti lavori dei Sorority Noise, dove alti e bassi, incursioni elettroniche, contaminazioni di genere sono ben accolti e mai banali. Intanto, i vortici di vittimismo, rimorso, rabbia stemperata dei testi sono nient'altro che le sensazioni superficiali di un'età di mezzo, come la maturità artistica dei Gazebo Penguins che, pur consapevoli di aver raggiunto una vetta impervia del successo, cominciano a provare anche qualcosa di nuovo ma non ancora innovativo.
03/03/2017