Ciò significa, in primo luogo, che anche queste dieci canzoni possono essere ricomprese nel macro-genere del rock, che prevede un suono potente e prevalentemente elettrico, una sezione ritmica robusta, un timbro vocale deciso e risoluto e testi che tendenzialmente raccontano sensazioni scomode e per le quali la musica risulta come una valvola di sfogo. Ovviamente ci sono tantissimi modi per declinare questi concetti-base, e se nel debutto i Giorgieness andavano quasi esclusivamente a briglie sciolte, spingendo spesso e volentieri dal punto di vista del ritmo e ancor più sovente sull'intensità, qui c'è una maggior voglia di ragionare, di giocare sull'alternanza vuoto/pieno, di utilizzare basso e batteria non solo picchiando, ma anche lavorando di cesello, di concedersi alcune volte di arricchire ulteriormente il suono con elementi elettronici, di cantare molto meno spesso a gola aperta, stando più attenti a sensibilità e tocco vocale.
Non si sta dicendo che il debutto spingesse a tutta dall'inizio alla fine, però qui ci sono una varietà maggiore e un mood generale secondo cui il racconto delle situazioni spiacevoli è più in equilibrio tra la voglia di buttarle fuori e quella di guardarsi dentro. L'iniziale "Avete tutti ragione" è breve ma già incisiva, con un suono che ricorda gli ultimi Garbage (per i quali i Giorgieness hanno aperto due volte in Italia); la strofa di "Vecchi" ha una melodia e un modo di cantare che, alla lontana, porta alla mente Le Luci Della Centrale Elettrica; "Che cosa resta" è il miglior esempio di come si possa puntare su chitarre snelle e una ritmica che rifinisce il suono più che cadenzarlo, senza farsi mancare impatto e realismo.
"Umana" si spinge ancora oltre, visto che è suonata con una chitarra acustica e rinforzata da una leggera base elettronica, e le altre canzoni non citate hanno ognuna caratteristiche ben precise in termini di stile melodico, interpretazione vocale e utilizzo delle chitarre, della sezione ritmica e degli eventuali suoni accessori.
I testi dipingono una serie di situazioni in cui l'autrice viene fondamentalmente trattata male, con reazioni che vanno dall'incapacità di sfuggire alla negatività, alla voglia di cercare almeno una soluzione, al riuscire, invece, a farla finita e andare oltre. La narrazione è sempre intrigante e fluida, grazie a un'ottima scelta delle parole e a un modo di presentare ciò che si sta vivendo in modo sempre efficace e centrato.
Ci vuole poco a suonare retorici quando si racconta di quella persona che ci cerca ancora nonostante sappia che la cosa migliore che potrebbe fare per noi è lasciarci perdere, o di quell'altra che ci dà la sensazione di non averla mai capita completamente nonostante anni e anni di frequentazioni, o di quell'altra che ci fa rabbia perché sappiamo che potrebbe essere facilmente migliore di così, ma la D'Eraclea ha qui trovato la giusta misura per unire credibilità e mancanza di compromessi.
Una seconda prova riuscitissima e un perfetto esempio di come il rock abbia molte più sfumature rispetto alle produzioni ipertrofiche cui troppo spesso lo si limita. Adesso manca solo di ascoltare come queste canzoni rendono dal vivo: le occasioni non mancheranno, e sarà comunque bene non farsele sfuggire.
(23/10/2017)