Capita che, mentre stai spulciando tra i cd, lo sguardo si soffermi su uno di quei dischi che hai consumato per giorni e notti, prima di farti sommergere dall'ennesima pila di album "rivelazione" destinati a un veloce oblio.
Avevo in verità dimenticato il fascino di quel canto graffiato, graffiante e un po' nasale di Valerie June, anzi avevo perfino trascurato di parlarne, forse consapevole che un personaggio così unico non avesse bisogno di ulteriori conferme critiche.
Non c'è in verità rivista o webzine che abbia dimenticato di tessere le lodi di "The Order Of Time", un album difficile da ignorare, soprattutto per quell'avventuroso intreccio di tradizione e modernità che riesce a catturare l'attenzione anche di chi non è un fan del genere.
Riascoltarlo dopo tanti mesi è non solo piacevole, ma perfino sorprendente. L'intersezione armonica a tempo di blues e country non solo è avvincente, ma è anche ricca di immaginazione e stravaganza - due elementi non sempre riscontrabili nel pur interessante scenario alternative americano, e che infine assimilano il profilo di Valerie June a un potenziale mix tra Billie Holiday e Lucinda Williams.
Sfaccettato, multiforme e leggermente scorbutico, "The Order Of Time" non è un album da sottofondo o da serata radical-chic; anche le movenze dance del potente rock-blues di "Shakedown" e il languore spirituale a base di soul di "The Front Door" hanno ben poco in comune con le più patinate produzioni contemporanee. Con il passare del tempo appare evidente che l'intenso fascino ipnotico del nuovo album di Valerie June sia il frutto di una curiosa e atipica costante armonica, che se da un lato incanta come un mantra, dall'altra mette in luce variabili armoniche a volte imperscrutabili.
Tra il blues degli Appalachi di "Man Done Wrong", le tentazioni chamber-folk di "With You", il giocoso rhythm & blues di "Got Soul" e il tono passionale di "Astral Plane" filtra una luce costante, un elemento spirituale impalpabile che rende "The Order Of Time" un'esperienza gratificante e profonda.
Suonerà strano che abbia atteso del tempo prima di esternare il mio apprezzamento per il secondo album dell'artista americana, ma, come sosteneva Marcel Proust, "una donna che amiamo raramente basta a tutti i nostri bisogni, e spesso la inganniamo con una donna che non amiamo". Proprio per questo motivo, invece di trastullarmi con le fugaci passioni dell'ennesima novità discografica, sono tornato a innamorarmi di uno degli album più intensi e autentici di questi ultimi mesi.
22/09/2017