Yair Elazar Glotman è da catalogare tra i musicisti cui gli studi accademici stavano decisamente stretti, e nonostante le comprovate abilità tecniche non si stancano di sperimentare nuove soluzioni espressive. Come un percorso autodidattico, la sua produzione solista per l'etichetta di culto Subtext equivale a una pratica di allontanamento dalla disciplina classica in direzione di una forma libera e liberante di sessione strumentale.
Per questa ragione "Compound" è il necessario passo oltre - e non una deviazione - rispetto agli "Études" solisti del 2015, banco di prova per tecniche estese ed effetti sonori trasfiguranti in relazione al contrabbasso, disconnesso dalle sue radici orchestrali così come dal ruolo assunto nella tradizione jazz, per avvicinare piuttosto le nuove propulsioni linguistiche delle avanguardie nord-europee (si veda il recente duo con lo svedese Mats Erlandsson, "Negative Chambers"). Ad assisterlo in questa ripartenza troviamo la pianista giapponese Rieko Okuda e il percussionista nostrano Marcello Silvio Busato (tra i suoi progetti il duo sperimentale The Somnambulist con Marco Bianciardi).
La direzione delle due "suite" è quella di un accumulo e di un'espansione ipertrofica del suono, ottenuti attraverso la ripetizione ossessiva di note che perdono contatto con la loro originaria funzione "collettiva" nella scrittura musicale, divenendo così una serie di elementi astratti e non-significanti.
Il tratto concettuale è quasi del tutto assente poiché, paradossalmente, il trio sembra abbandonarsi alla massima spontaneità entro un range di note molto limitato, posto agli estremi della strumentazione. Sono ancora una volta i Necks (formazione identica alla qui presente) a indicare la strada di una pratica musicale "dimenticata a memoria", come un riflesso incondizionato al confine tra ascolto reciproco ed estremo individualismo. In "Veil" il ruvido rimbrottare del basso prosegue per diversi minuti prima di tramutarsi in un riff sulla stessa nota altrettanto chiuso in se stesso, mentre i tasti del piano arpeggiano e picchiettano con uguale insistenza e le percussioni si focalizzano sul variegato tintinnio lungo l'interezza dei piatti.
Salvo un tono minore vagamente minaccioso, si presenta in modo quasi speculare il lato B di "Revelate", segnato da un intermezzo pianistico à-la Charlemagne Palestine che introduce una seconda metà decisamente tesa e ancor più concitata. Solo in extremis giunge un barlume melodico di nuovo da Okuda, per quanto limitato alla stessa ristretta porzione di tastiera, cui si aggiungono in coda gli altri per una chiusa tutt'altro che risolutiva, almeno in termini classicisti.
La drone music acustica approntata empiricamente da Glotman finisce con l'inserirsi nel solco di ricerche già da tempo in essere, se non altro confermandone i più recenti e interessanti sviluppi, rivolti a una dinamica saturazione che ha principio in un trattamento post-minimalista del gesto sonoro. Il passo seguente, se stilisticamente più autonomo, potrebbe essere quello decisivo.
16/10/2017