Dieci anni per arrivare a vedere la stanghetta verticale che sancisce la conclusione della trilogia "uni" di Alva Noto. Nel mezzo ci sono stati, principalmente, due capitoli della serie ambient “Xerrox” e vari progetti con il sodale di lunga data Ryuichi Sakamoto: la conclusione del ciclo VIRUS (“Summvs”), una colonna sonora (“The Revenant”) e una live session improvvisata di recente pubblicazione (“Glass”). Ma il 2018 è anche l’anno che sancisce il nuovo corso della ex-raster-noton, la cui divisione strettamente discografica è ora totalmente affidata allo stesso Nicolai, che ha inaugurato la reincarnazione NOTON con tre release in soli tre mesi – a partire dal recupero d’archivio del concerto con Ryoji Ikeda e Mika Vainio, tenutosi quindici anni prima.
Dopo l’ermetico e febbrile codice di “Unitxt” (con file di dati riversati in formato audio) e il widescreen audiovisivo di “univrs” – tra i più sbalorditivi affreschi della glitch music – il segmento finale “UNIEQAV” sembra avere meno l’aspetto di un’installazione sonora e più quello di un album in senso classico e quasi “retrò”, con scelte stilistiche che in più casi rimandano agli ormai lontani anni 90.
Forzando un po’ la mano, potremmo addirittura chiamarlo il suo “Selected Ambient Works”: un composto saggio di sound design che al freddo rigore del caos controllato predilige atmosfere atte a un ascolto non necessariamente attentivo, accogliendo persino lievi tratti melodici che nei primi due terzi del progetto non avremmo trovato – quasi stessimo trattando di un Wolfgang Voigt convertito alle frequenze alte.
La coesistenza di texture profonde e punteggiature digitali in superficie, suddivise con cura tra i canali stereo, crea l’illusione di uno spazio prospettico tridimensionale, in molti casi prossimo all’oscuro immaginario post-umano dei Pan Sonic, con gli schiocchi di frusta, le scie ronzanti e i nerissimi fondali propri dei guru finlandesi (“Uni Normal”, “Uni Mic A” e “B”), ma anche al lato più ruvido delle soundtrack di Trent Reznor e Atticus Ross (“Uni Blue”).
Trittico nel trittico – e più esplicito legame col resto – quello in collaborazione con Anne-James Chaton: dopo l’episodio dedicato a sigle e acronimi di noti trademark globali, il robotico performer procede a “recitare” i codoni di aminoacidi che compongono le sequenze del Dna (ossia combinazioni di due o tre lettere fra A-T-G-C) su un pattern ritmico di quasi sei minuti, soggetto a variazioni minime.
Solo nei due brani seguenti si rende più riconoscibile la concitata marca sonora di Alva Noto, ma non sono che eccezioni entro un’opera (la cui regola è confermata in chiusura) che, pur nella relativa varietà di soluzioni, rappresenta senza dubbio il lato più introverso e “conservatore” della serie che porta a compimento. Un finale in understatement, forse per esercitare un contrappeso nell’economia generale della macro-opera, ma non certo un gran finale.
22/03/2018