Alva Noto

Alva Noto

Oltre l'elettronica

Alva Noto, alias Carsten Nicolai, è il paradigma del musicista moderno. Dal 1996 fino ad oggi, svariando tra diversi ambiti artistici, ha saputo plasmare una creatura in bilico tra tensione musicale e progettualità visuale. Ripercorriamo qui la sua ricca storia

di Alberto Asquini, Roberto Mandolini

La post-modernità è patrimonio comune, ma la differenza che fa grande un artista sta nel saperla interpretare, nel rendersi egli stesso strumento di decodifica, oggetto e soggetto, agente e cavia. A tal proposito, Carsten Nicolai, alias Alva Noto, è sicuramente una delle figure artistiche mondiali che, spaziando in diversi ambiti di espressione, ha saputo codificare la modernità in una maniera del tutto particolare e autonoma.

Carsten Nicolai nasce nel 1965 a Berlino. Sin da giovane, pur guadagnandosi da vivere come giardiniere, sviluppa una profonda passione per l'arte d'avanguardia, decidendo di frequentare, tra il 1985 e il 1990, un corso sul design a Dresda. Nel 1992 fonda il centro culturale Voxxx.kultur Und Kommunicationszentrum, mentre nel 1999 dà vita alla Raster-Noton, etichetta al vertice della produzione elettronica mondiale.

All'inizio degli anni Ottanta, quando Nicolai è un adolescente, la rivoluzione informatica sta prendendo piede: il personal computer non è più un miraggio ma uno strumento a portata di mano. Ed è proprio col pc, paradigma del mondo moderno, che l'artista inizia sempre più a confrontarsi, e con esso il significato stesso di arte viene a mutare. Se nel corso di tremila anni di storia dell'uomo, l'arte doveva necessariamente avere come scopo il suo porsi come lascito storico e culturale, ecco che con la modernità questa concezione si sgretola. La storica portata dell'arte viene meno, a favore di un ridisegnamento complessivo. Non più opere che rimangano nel tempo, bensì composizioni e installazioni da costruire e disfare, in un continuo gioco di incastri. L'arte, sempre più puzzle e sempre meno organica, conosce la via della deframmentazione compulsiva. L'artista contemporaneo compone e scompone con gli strumenti più diversificati, non necessariamente materici. Carsten Nicolai, nei suoi vari moniker, esplora il suono con un approccio totalmente attuale.
In una sorta di ritorno al futuro, alla stessa maniera dei primi scienziati postivistii e illuministi, Alva Noto plasma una creatura assolutamente laica e immanente, scevra da qualsivoglia pulsione emozionale, chiusa in sé stessa, atonale e bidimensionale. Nella sue eterodossia, mostra al mondo l'arte del terzo millennio: la scomposizione. Giocando di rimbalzo su strutture fredde, le impalcature di Carsten Nicolai sono glitch, sfondi drone-ambientali, cortine algebriche. La musica di Alva Noto si genera e si autoriproduce, è matrice. 

Luci della città - L'esperienza Noto

La carriera di Carsten Nicolai ha inizio ufficialmente nel 1996. La Raster-Noton infati licenzia Spin, debutto piuttosto acerbo ma che lascia intravedere tutte le potenzialità dell'artista berlinese. Si susseguono rapidamente 24 schegge impazzite. I loop, intrecciati secondo precise tecniche compoistive, si stagliano su sfondi elettronici minimali.

A distanza di un solo anno, Nicolai plasma la seconda creatura, (per comodità, "Infinity"). Mai titolo fu più profetico. è un lavoro molto complesso, giocato su intarsi sonori algebrico-geometrici. Settantadue schegge impazzite triturano l'udito dell'ascoltatore, vuoi per la complessità dell'opera, vuoi per la crudezza e l'asfitticità con la quale viene presentata. Nicolai viaggia ancora su binari alieni e futuristi, proiettandoci in un universo parallelo di glitch e cibernetismi.

Tale è la freddezza e l'assoluta mancanza di melodia, che potremmo quasi obiettare circa la provenienza umana di . A tracce dal minutaggio irrisorio (ne troviamo a bizzeffe comprese tra i 2 e il 20 secondi) ne seguono altre che dovrebbero comporre la spina dorsale dell'opera: la prima traccia, sospesa tra un rimbalzo costante e tintinnii lievi, è sicuramente uno degli episodi più indovinati del disco, la sesta traccia gioca ripetutamente su glitch ibernati, l'affascinante lievissimo drone percorso da un beat ovattato della trentaseiesima. Tuttavia, col passare dei minuti, il gioco, già di per sé piuttosto pesante, finisce col diventare noioso. E' necessario allora leggere l'opera non nell'ottica di un puro ascolto, quanto del suo valore artistico complessivo. Se da un punto di vista musicale risulterà quindi spiazzante, da un punto di vista legato alla ricerca di nuove sonorità apparirà senz'altro innovativa.

Telefunken non si discosta dai canoni compositivi finora enunciati. Nella ventina di minuti nei quali si articolano i 31 segmenti sonori, Noto esplora ulteriormente i perimetri del suono, giungendo forse, vista la minor durata complessiva, a una sintesi più pregna e densa. Fra batter d'ali frenetici e televisori senza segnale terrestre, Noto porta ancora una volta all'estremo l'esperienza sensoriale, distruggendola e frantumandola.

Autorec (45 minuti) segna una sostanziale svolta. Carsten Nicolai, smettendo le vesti da vivisezionatore del suono, plasma la sua opera più accessibile. Riducendo la complessità delle tracce e aumentandone mediamente la durata, Noto va oltre la semplice sperimentazione, erigendo una creatura pensante. E nonostante le due tracce introduttive non facciano di certe ben sperare, fra silenzi assordanti e batter d'ali fittissimi, "Kristalgitter" sforna fendenti glitch che si innestano su un drone che procede a ondate regolari. I fremiti artici di "s16" dipingolo un quadro innevato, mentre "Dicht" eleva l'isolazionismo ai massimi sistemi. Fra spasmi da encefalogramma piatto ("Sinus Pulse"), increspature profonde ("Geiger 2") e dilatazioni celebrali in salsa ambient ("Snow Noise Fragment") si consuma la fine del disco meno cervellotico di mr. Nicolai. 

La consacrazione definitiva - Alva Noto

Alva NotoA partire dal 2000, Carsten Nicolai decide di iniziare a registrare materiale con un nuovo moniker, Alva Noto. Sebbene la sua label fosse stata già fondata da un anno, Prototypes verrà licenziato dalla Mille Plateaux (ricordiamo nel suo roster nomi di punta della scena elettronica: da Vogel a Gas, da Terre Thaemlitz a Dela). Le dieci tracce nelle quali si articola il disco confermano un Nicolai in stato di grazia. Attraverso un minuzioso lavoro di taglia e cuci, Alva Noto plasma tre quarti d'ora di intarsi elettronici a frequenze bassissime. Sezionando glitch talvolta fastidiosi, alterna fantasie subacque dai tratti giocosi ("Prototype 7") a cupissime distese oscure ("Prototype 10"). E laddove la strada è impervia e glaciale ("Prototype 3"), il sole non appare ma si nasconde dietro esplosioni notturne osservate al radar ("Protoype 4").
L'arte con la quale Alva Noto comunica appare sempre più inavvicinabile, criptica e misteriosa. 

Passa un anno prima che Transform possa vedere la luce. De-estremizzando il suono in favore di una portata musicale più fruibile, l'artista tedesco raggiunge uno dei vertici della sua carriera: un viaggio tra i circuiti di un computer, fra calcolatrici e numeri.
L'opera, suddivisa in dieci "Module", ha una durata complessiva che sfiora l'ora di ascolto, lasso di tempo nel quale è l'isolazionismo a dominare. La sensazione di trovarsi immersi in un grande nulla pervade l'animo, un nulla elettrizzato da scariche magnetiche pungenti. I glitch giocano col fioretto, sfoderando imprevidibiltà e rapidità di esecuzione, trapassando l'udito da parte a parte. Le cortine di droni in sottofondo scandiscono un incedere apatico e flemmatico. Si passa quindi dal sinistri default di "Module 9" alla puntina del giradischi che tocca a vuoto di "Module 8", dalle visioni più tetre di casa Pan Sonic ("Module 5") alle lievi distensioni glitch-ambientali in salsa nottturna di "Module 3".
Offrendo una gamma compositiva più ampia, con più d'una variazione tonale, Carsten Nicolai ci proietta avanti, nel futuro prossimo, in un Matrix nel quale non saremo noi a ballare in discoteca, ma macchine e robot. 

Dopo aver smesso i panni di Alva Noto per tre anni, nel 2004 Carsten Nicolai pubblica un triplo Ep. Transrapid, primo capitolo del trittico, segna un nuovo stacco: mantenendo come struttura portante l'uso lucido e calcolato di glitch, il compositore berlinese compie un ulteriore passo avanti. Se nelle opere precedenti sul sostrato ambientale si innestavano stridori e crepitii con regolarità, in Transrapid i glitch vengono elevati a beat. Non più e non solo dunque bordate sinistre, ma elementi ritmici sempre più evidenti. E' il caso del capolavoro "Funkbugfx", oltre otto minuti di glitch che entrano secchi sulla base, costruendone la struttura. Nel corto circuito di "Pulse" si rincorrono beat fittissimi che fanno gridare al miracolo. E se "Future" incanta nella sua architrave cristallina pungolata da fremiti elettrici, "Highmatrix" è isolazionismo allo stato gassoso, tra dolci distorsioni e spettrali sfrigolii di sottofondo.
Transvision segna un nuovo capitolo della ricerca sonora del nostro. La comparsa di strutture decisamente più geometriche riscontrate nel primo Ep vengono qui parzialmente confermate. L'iniziale "Remodel" è gioiello dada-futurista percorso da nette incursioni ritmiche e gocce di rugiada distillate. "J" si rivela un'incursione nelle lande multiformi del debutto, mentre le tetre visioni electro-industrial di "Postfabric" e l'incedere computerizzato di "10" sono automi con l'anima.
Transspray rappresenta una delle opere più disturbate e disturbanti di tutta la sua produzione. Eliminando ogni tentazione geometrica o aspirazione melodica, Alva Noto plasma un Ep che è terrore allo stato puro. Slegando melodia, glitch e base ambient, Nicolai erge un muro del terrore costruito da slanci noise, confusione allo stato puro. La decostruzione giunge qui a un livello basico. Probabilmente, però, si eccede nel frantumare e scheggiare la melodia, e nel complesso si può parlare di un Ep "minore", se si eccettua l'ottima "Bit".

Nel 1996 viene pubblicata un'opera considerata minore, ma che riveste invece una importanza significativa se confrontata con la complessa ed estesa discografia di Nicolai. For è un album articolato in nove tracce, ognuna delle quali dedicata ad artisti in campi diversi: da John Cage a Suchan Kinoshita, da Peter Roehr a Elfriede Jelinek.
Eliminando le tensioni e le angosce delle opere precedenti, Alva Noto si produce nella composizione di bozzetti liquidi e di spazi artici. La componente ambientale, che da qui si accentuerà sempre più, ha il sopravvento sui glitch. Gli strepitii si rincorrono ancora, ma in maniera molto meno caotica. Al contrario, accompagnano la melodia. La filigrana sonora, tra fotografie notturne ibernate ("Transit") e leggeri sibili sinistri ("Station Reno"), si ghiaccia lentamente, ora di scatto ("Gulf Night"), ora con moto giocoso ("Flashforward") fino a giungere alla sublimazione dell'opera, il candore diamantino di "Odradek", tra lievissimi saliscendi e boccate d'ossigeno purissimo.
Come detto, For rappresenta uno spartiacque decisivo nella carriera di Alva Noto. I soundscape ambientali, prima strumenti secondari e attori minori, vedono accrescere l'importanza del loro ruolo nelle composizioni, divenendo veri e propri attori co-protagonisti.

Xerrox Vol. 1
, composto da quattordici brani, è invece un viaggio in terre nordiche. Primo di una serie che si compone di cinque uscite, il nuovo lavoro di Nicolai, aggiorna l'esperienza classica al tempo dei laptop, erigendo un monumentale muro del terrore e forgiando un suono contemporaneo che si rivolge al passato.
Le tracce (brani brevi e medio-lunghi si alternano regolarmente) sono vere e proprie esperienze sensoriali da vivere in tutto il loro dipanarsi. Il celestiale incedere di "Haliod Xerrox Copy 3 (Paris)" apre a visioni paradisiache, svolgendosi maestoso nei due climax che lo percorrono superficialmente. E anche laddove l'elemento noise sembra aver la meglio, la melodia prende il sopravvento, traghettando le pulsioni più estreme verso lidi decisamente più rassicuranti ("Haliod Xerrox Copy 2 (Airfrance)").
L'approccio nei confronti della materia sonora è quindi mutato in maniera piuttosto radicale: si ascoltino a tal proposito il frenetico batter d'ali di "Haliod Xerrox Copy 6", che si avvia verso una scia melodica, o il marziale avanzare di "Haliod Xerrox Copy 1", che sfocia in un solenne muro sonico di droni.
La grandezza di Xerrox Vol. 1 si sublima anche nelle tracce finali: "Haliod Xerrox Copy 111" è una cascata drone-ambient che strizza l'occhio allo shoegaze più emozionale, mentre "Haliod Xerrox Copy 9" è la caduta degli dei, sospesa tra aspirazione mistica e profondo baratro. Discostandosi dai glitch ed elevando la potenza del drone ad arte, Alva Noto pone l'ennesima pietra su un percorso ormai costellato di grandi lavori.

Il 2008 segna un momentaneo - ennesimo- cambio di rotta. Unitxt è un ritorno alle origini. I glitch tornano prepotenti in gioco, mentre i vapori ambientali giocano da comparse occasionali. Tra sfregolii e sezione ritmica decisamente più decisa, a illuminare un lavoro che forse soffre eccessivamente del paragone con la trilogia di Ep, ci sono incalzanti casse ("U_04", "U_08-1, "U_03"), gentili bordate ("U_09-0") e texture frammentate.
La seconda parte dell'album consta di glitch realizzati a partire da comunissimi programmi per Windows (da Power Point a Word, da Excel a Soundmaker).
Nel complesso Unitxt si rivela dunque un lavoro probabilmente fuori tempo massimo, ma comunque di sicuro interesse.

Ad Alva Noto piace spaziare in un'ambient music candida, trasparente e granulare, e questa nuova pubblicazione, che giunge a distanza di due anni dalla precedente, ne è la limpida dimostrazione.
Xerrox Vol. 2, che si articola in undici tracce, non si perde nei facili cliché della musica ambientale, adottando invece un approccio esplorativo rivolto al futuro, che trova la sua ragion d'essere nell'alternare sospensioni e respiri a field recording e sample.
E se i cupi paesaggi dronici pennellati dai feedback si insinuano sotto cute, l'amalgama pastoso e i ronzii sottili regalano visioni paradisiache che poco si discostano dai moti ondosi di marca Pan American. Il naturale saliscendi del suono, a tratti un po' shoegaze ("Phaser Acat 1"), lascia spazio via via a verdi prati irlandesi ("Soma"), ringiovanendo idealmente la lezione di Brian Eno.
A smentire l'impressione di trovarsi sospesi in un'immaginaria gita a mezz'aria, provvedono le graffianti intemperie di "Meta Phaser", che parte docile e si erge minacciosa, un po' Pan Sonic, un po' Black Dice. Il mood muta radicalmente: ora sono gli sfrigolii sinistri, sorretti da pulsanti beat digitali, a reggere la nave durante la tempesta ("Sora"), che, seppur tra gli spiragli di luce dei primi due episodi di "Monophase", miete le sue vittime, facendole lentamente agonizzare nelle distese droniche finali.
Intrecciando un'infinità di loop, domati e gestiti con maestria, Alva Noto costruisce un paesaggio multiforme e caleidoscopico, pur nel suo essere, in fondo, sempre uguale a se stesso.

A quattro anni di distanza esce il seguito, For 2. Distribuite dall'eccellente etichetta di Taylor Deupree, le dodici tracce nelle quali l'album si articola mostrano un lato di Alva Noto non in linea con la sua produzione attuale e passata. Non ci sono epici droni dal fluire magmatico, né gelide impalcature di glitch. For 2 vive rinchiuso in un freddo e limpido isolazionismo, spezzato da tonalità monocromatiche sulle quali si innestano timidissime sezioni ritmiche. L'immersione che Carsten Nicolai qui teorizza si lega a un procedere silenzioso e quasi impercettibile.
Gli sfondi vellutati volgono lo sguardo ora verso distese nevose (l'iniziale "Garment (For A Garment)"), ora verso specchi che rifrangono la loro immagini secondo angolature diverse ("Sonolumi (For Camera Lucida)"). E fra flebili sospiri ("Stalker (For Andrei Tarkovsky)") e glitch mai invadenti ("T3 (For Dieter Rams)"), si consumano attimi di pura solitudine. L'aria si fa rarefatta fino alla bellissima conclusione: nei sette minuti di "Argonaut-Version" la materia sonora si fa tiepida, avvolgendo l'ascoltatore con dolci tocchi felpati in ascesa.
For 2, destinato probabilmente ad essere accantonato in sede di riflessione sulla mastodontica discografia di Carsten Nicolai, segna invece un ulteriore passo avanti verso una produzione musicale tanto vasta quanto in continua progressione.

In univrs, secondo segmento della trilogia 'uni', si fondono la prima parte della carriera di Nicolai – quella fondata su una musica che si fa matematica – e la seconda parte, nella quale l'artista tedesco ha scandagliato i confini dell'ambient-drone. Ed è una fusione che rasenta la perfezione.
Non solo glitch e sfondi elettronici sfumatissimi, ma anche una ricerca del beat robotico e alienante, marchio di fabbrica di Byetone. I contorni sono fatti sì di battiti e glitch, però quasi sempre ovattati e spesso ficcanti. Quella di Alva Noto è una cattiveria caramellata, che non fa mai davvero male, ma allarga la mente, la libera, la svuota.
Quello di univrs è uno spazio in continuo fermento, nel quale pullulano fotografie di neutrini e fotoni lanciati, fatti deflagrare e rimessi in movimento. Un movimento iscritto in un nulla cosmico, che appiattisce la dirompenza potenziale del suono, riconsegnandolo frenato nella sua onda d'urto.

Solo nel 2018 vedrà la luce la stanghetta verticale che sancisce la conclusione della trilogia ‘uni’. Il segmento finale UNIEQAV sembra avere meno l’aspetto di un’installazione sonora e più quello di un album in senso classico e quasi “retrò”, con scelte stilistiche che in più casi rimandano agli ormai lontani anni 90.
Forzando un po’ la mano potremmo addirittura chiamarlo il suo “Selected Ambient Works”: un composto saggio di sound design che al freddo rigore del caos controllato predilige atmosfere atte a un ascolto non necessariamente attentivo, accogliendo persino lievi tratti melodici che nei primi due terzi del progetto non avremmo trovato – quasi stessimo trattando di un Wolfgang Voigt convertito alle frequenze alte.
La coesistenza di texture profonde e punteggiature digitali in superficie, suddivise con cura tra i canali stereo, creano l’illusione uno spazio prospettico tridimensionale, in molti casi prossimo all’oscuro immaginario post-umano dei Pan Sonic, ma anche al lato più ruvido delle soundtrack di Trent Reznor e Atticus Ross.
Pur nella relativa varietà di soluzioni, UNIEQAV rappresenta senza dubbio il lato più introverso e “conservatore” della serie che porta a compimento. Un finale in understatement, forse per esercitare un contrappeso nell’economia generale della macro-opera, ma non certo un gran finale.

In uscita dall'esperienza concettuale con Anne James Chaton, ci riprova Alva Noto, sempre per Raster-Noton, con HYbr:ID I (2021) un disco che ritorna a concentrarsi su watt e impedenze di un sound che è ormai arrivato a contraddistinguerlo.
Nicolai attinge di nuovo dalla geometria e costruisce un'architettura elettronica che si concentra sulla figura dell'ovale, in rapporto all'uomo e all'identità. Un cerchio, geometria perfetta per eccellenza, che plasma e muta il suo raggio direzionandone la sua crescita a seconda delle interazioni esterne. Proprio come i bosoni (“Oval Hadron I e II”) collidono all'interno di un atomo vibrante, o un uovo fecondato nel suo nido, un'ellisse planetaria. Il cosmo all'alba dei tempi. E il cosmo personale. Molto si può riferire alla figura ovale, ogni traccia del disco attraverso la sua sigla sembra proprio voler volgere l'attenzione alle sue infinite variabili più o meno concrete e astratte.
Musicalmente, più che nei pressi dei suoi ultimi esperimenti con Chaton, siamo più intorno agli episodi all'inizio della sua carriera, in particolare “Prototypes”, “Transrapid” e, soprattutto, “Opto File”, disco che nella sua produzione cade molto in secondo piano, sommerso da quell'epopea elettrocosmica dei vari volumi di “Xerrox”, per i quali sicuramente Alva Noto è conosciuto ai più. Oltre infatti al suddetto, e ai dischi con Ryuichi Sakamoto, che gli sono valsi la notorietà anche al di là dei confini della musica Idm, con la collaborazione che li ha portati allo sviluppo della colonna sonora per “The Revenant”, i dischi della prima fase di Alva Noto sono notevoli. Con Opiate, all'anagrafe Thomas Knak, aveva aperto una piccola parentesi sonora più distesa e meno cinetica, che aveva già in nuce il suono di questo “HYbr:ID I”. Un'altra fonte di ispirazione assolutamente certa è Mika Vainio, passato a miglior vita ormai qualche anno fa, a cui Nicolai sembra tributargli proprio le frequenze più basse e gli echi galleggianti tipici del produttore scandinavo. È infatti impossibile non ascoltare rimandi a Ø in “Oval Blackhole”, che cita appunto le sonorità di “Oleva” e “Konstellatio”.
E Alva Noto continua la traiettoria negli abissi del suono, proprio afferrando il testimone di Vainio. “Oval Spin”, altra inoppugnabile citazione, Edgar Froese, senza ombra di dubbio alcuna, sembra provenire da qualche scantinato dello Zodiac, storico locale aperto da Roedelius (Cluster) a Berlino, da cui nacque tutta la ricerca kraut.
Con “Oval Asimoo” purtroppo il disco scade un po', in quanto il richiamo al fondatore dei Pan Sonic risulta veramente un po' eccessivo: pare davvero una qualsiasi traccia di “Oleva” tanta è la verosimiglianza. Sarà che la nostalgia per il collega si fa sentire, ricordiamo che i due hanno più volte collaborato e suonato live insieme. Possiamo dire che per quanto riguarda il genere nel gergo chiamato glitch, la triade Vainio, con Rioji Ikeda e Alva Noto, ha interscambiato più volte il suo carisma, ed è, se si esclude magari qualche caso britannico con le sue varianti (Four Tet), il punto di riferimento del genere. Con “Collider” ritorniamo più sui passi di Nicolai, con un sincopato potente che va verso la chiusura del disco. Chiusura, appunto, caratterizzata da questo scambio sinergico tra la bassline tipica di Ø e le accelerazioni di Alva Noto (“P-Dance”).
La finale “Oval Noise” richiama molto l'iperspazio di Xerrox, chiudendo il disco in un'atmosfera rarefatta e siderale; un disco che patisce molto il suo pedissequo richiamo a Vainio, ma che si lascia ascoltare con piacere.

Collaborazioni varie ed eventuali

Carsten Nicolai  (Alva Noto)Molte le collaborazioni che Carsten Nicolai ha intrapreso nella sua lunga carriera. A fine anni 90, crea con i soci Olaf Bender e Frank Bretschneider il trio Signal: il rarissimo Ep Waves + Lines anticipa di due anni l'album di debutto Centrum, in cui i tre musicisti coinvolti nelle registrazioni scrivono un compendio assolutamente rappresentativo della nuova elettronica glitch. Il disco è il secondo volume della serie Raster-Static. I Signal torneranno dopo una lunga pausa nel 2007 con il loro secondo, bellissimo album Robotron: Carsten, Olaf eFrank, nel frattempo diventati delle colonne portanti dell'evo digitale, sorprendono il loro pubblico pubblicando uno dei dischi più comunicativi delle loro carriere. Robotron è l'inizio di una svolta all'interno della carriera di Alva Noto, nonché una delle pubblicazioni più accessibili di tutto il catalogo della Raster-Noton.

All'inizio degli anni zero Alva Noto pubblica il cd Uniform che documenta un'esibizione al San Francisco Museum of Modern Art (SFMOMA) tenuta il 3 marzo del 2001, per l'inaugurazione della mostra "010101: Art in Technological Times", dallo stesso Alva Noto insieme a Scanner. I due musicisti mostrano l'aspetto più sperimentale della loro arte e senza l'ausilio delle immagini l'ascolto del cd risente dell'eccessiva concettualizzazione. Il disco contiene un'unica traccia di venticinque minuti che, a ben vedere, non aggiunge molto alla carriera di Carsten Nicolai né a quella dell'amico Robin Rimbaud.


Lo stesso anno viene pubblicato l'omonimo cd di Cyclo, collaborazione di Nicolai con l'artista giapponese trapiantato a New York Ryoji Ikeda. Il lavoro è decisamente sperimentale e astratto, basato sugli studi che entrambi i musicisti stanno svolgendo sulle relazioni tra suoni e immagini. Per Ikeda è l'anno del fondamentale "Matrix", lavoro pubblicato su Touch. Cyclo ha sicuramente il merito di aver saputo fotografare lo stato di salute della sperimentazione elettronica d'inizio millennio, ma con il passare del tempo l'ascolto si è appesantito e quelle stesse soluzioni acustiche allora innovative sono state espresse in maniera più rappresentativa in dischi successivi sia da Alva Noto che da Ryoji Ikeda.

Sempre nel 2001 esce la prima collaborazione con Opiate (nella vita di tutti i giorni, il danese Thomas Knak), Opto Files. L'Ep fa parte della "Static Series" della Raster-Noton e, come i precedenti lavori, è racchiuso nella caratteristica bustina argentata anti-statica. Le quattro tracce del disco sono costruite su languidi spettri idm dall'accentuato contenuto melodico. Alva Noto riprende alcune idee utilizzate anche sul suo disco solista Trasform e le rielabora all'interno della pantalassa organica dell'elettronica di Knak. Opto Files è uno dei dischi fondamentali per comprendere la transizione nell'evo digitale.

A quattro anni di distanza 2nd torna sul luogo del delitto, ma nel frattempo i confini del genere si sono spostati altrove (verso la New York dei Basinski, Chartier e Taylor, per esempio). Ciò ovviamente non toglie nulla alla bellezza di alcuni frammenti di questo lavoro, semmai fa riflettere su come all'interno delle musiche di confine, alle volte il valore sia proprio quello di essere sull'orizzonte degli eventi. Non stupisce quindi che suoni più convincente la profondità spettrale della quinta traccia in scaletta, piuttosto che il pigro ritmo glitch del brano seguente.

Molto più fruttuosa (e longeva) la collaborazione con Ryuichi Sakamoto. Dal primo incontro tra Alva Noto e il famoso compositore giapponese nasce Vrioon, pubblicato nel dicembre del 2002 dalla Raster-Noton sia in cd che in vinile trasparente. Sorprendentemente le melodie suonate al pianoforte da Sakamoto sembrano trovare una rigenerante spina dorsale nei glitch orchestrati da Alva Noto: l'alchimia funziona alla perfezione sull'iniziale "Uoon I", dove le sinusoidi glaciali di Nicolai traghettano alla deriva le melanconiche note del pianoforte di Sakamoto.
L'intro di "Duoon" lascia senza respiro: Nicolai costruisce una silenziosa ninnananna artica alla Mum intorno al pianoforte di Sakamoto: poco prima della boa dei due minuti, l'atmosfera si asciuga e il suono sprofonda in un abisso glaciale. Per qualcuno Vrioon rappresenta la versione aggiornata delle collaborazioni tra Eno e Budd di vent'anni prima.

Sakamoto si innamora del trattamento che Alva Noto ha saputo conferire alla sua musica. Non stupisce quindi trovare il nome del musicista tedesco tra la lista degli ospiti (tra i quali spiccano i nomi di David Sylvian, Arto Lindsay, Amedeo Pace, Rioichi Ikeda) del suo nuovo album, "Chasm" (Warner, 2004).
Pochi mesi dopo, il 20 marzo del 2005, la Raster-Noton pubblica la nuova collaborazione tra Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, Insen. Alla fine dell'anno sarà disco del mese dell'area elettronica per la prestigiosa rivista inglese The Wire.

Il disco conferma le strabilianti capacità di Nicolai nel ravvivare lo stile languido e talvolta lezioso del pianismo di Sakamoto, come si può ascoltare sulla preziosa "Logic Moon". "Aurora" prosegue sulle stesse coordinate del precedente Vriooon. "Berlin" è tra i brani più accessibili dell'intera carriera di Alva Noto, dove il musicista tedesco dimostra di saper costruire anche semplici strutture ritmiche dal forte impatto emozionale.

L'anno seguente durante un lungo tour di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto in Europa e Asia, esce un dodici pollici su vinile trasparente con tre nuovi brani, Revep. Venti minuti di musica che aggiungono poco a quanto mostrato sulle due precedenti collaborazioni. Anche l'attesa rivisitazione del classico di Sakamoto "Merry Christmas Mr. Lawrence" (già trasformato al tempo in "Forbidden Colours" su un famoso disco di David Sylvian, "Secrets Of The Beehive") non suscita l'effetto sperato. In ogni caso, il vinile va esaurito in pochissimo tempo, come d'altro canto la maggior parte delle pubblicazioni (siano cd, album in vinile, libri o poster) della Raster-Noton.

Per festeggiare i quattrocento anni della fondazione della città di Mannheim, Alva Noto e Ryiuchi Sakamoto compongono le musiche contenute sul loro cd dal vivo Upt_. Il disco viene registrato il 16 novembre del 2007 e pubblicato due anni dopo, sempre dalla Raster-Noton, in un elegante cartoncino che sulla copertina raffigura una delle costellazioni geometriche di Carsten Nicolai, con al suo interno un cd, un Dvd e ben due libretti, uno con la partitura delle musiche, e l'altro con immagini e parole.

Il Dvd contiene le riprese del concerto (74'21") e un "try-out" (38'46") che documenta sia l'opera in divenire che il risultato definitivo. Il Dvd è ntsc, region free, sia stereo che surround 5.1. Il cd audio contiene 72 minuti di musica: un lungo brano diviso in dieci parti (e 21 sezioni) legate assieme senza soluzione di continuità. Alva Noto è presente immediatamente con i suoi leggeri drone e i suoi silenzi sotto l'incedere minaccioso dei violoncelli. Il pianoforte di Sakamoto aleggia come un fantasma sulla musica, paventandosi in tutta la sua fisicità solo durante le due "broken line". L'orchestra accompagna entrambe i musicisti, sottolineandone ora la freddezza delle intenzioni ora la romanticità dello spirito.

Il quinto capitolo della fruttuosa collaborazione arriva nel 2011, com Summvs, vera e propria testimonianza di ciò che non è mai stato detto prima dai due, una sintesi che impregna l'ambiente di una familiarità rinnovata, epifania del tutto e dei singoli, uniti ancora una volta nella loro instancabile tendenza.

"Microon I" è l'apertura ariosa dell'opera, con un ronzio vagamente orientale, sinuoso come le poche e meditate note che lo puntellano, oscure, quasi mistiche, sensuali e inebrianti. Una traccia che pecca per la scarsa durata, combattuta inoltre dalla linearità interrotta da "Reverso": un ticchettio scandisce il suono metropolitano e disperato, al cui interno abbagli noisee stridule campane metalliche danzano con il minimalismo armonico crescente di Sakamoto. Tutto pare calcolato al dettaglio, studiato con complicità matematica, ma, nonostante ciò, non si riesce a scacciare l'impressione di fondo: Noto e Sakamoto suonano in stanze separate e delle rispettive musiche percepiscono solo echi filtrati dal cartongesso. Hanno gli occhi chiusi, ma sembrano vedersi comunque.
Il brusco risveglio arriva con "Pioneer IOO" e il suo sterile rumore bianco, con spruzzi di metallo incandescente che si raffredda in una virata inaspettata. Le ritmiche si fanno più serrate e il piano esplora le ottave più basse in "Ionoscan" in un crescendo di apprensione emotiva, fino al culmine inaspettato: "By This River". Le prime famosissime note del pezzo storico firmato Eno-Roedelius-Moebius vengono sezionate in un fitto susseguirsi di battiti, in dialogo con brevi glitch e fraseggi di piano semplici, parte di un accompagnamento rigorosamente intervallato, ma dirompente.

Tra la conclusione del ciclo VIRUS e il ricongiungimento di Glass intercorrono circa sei anni, durante i quali il maestro giapponese si è sostanzialmente preso un periodo di isolamento, dovuto anche alla diagnosi di un tumore alla faringe nel 2014.
Registrata in presa diretta dopo una sola prova, questa singolare performance tra le vetrate della Glass House a New Canaan (Connecticut), progettata dall’architetto Philip Johnson nel 1949, conferma in pieno – benché con modalità diverse – l’approccio “ritualistico” di Noto e Sakamoto, volto qui a ristabilire il sodalizio forgiato negli anni d’oro della raster-noton.
In questo preciso contesto, più che mai, si avverte un forte richiamo alle geometrie dell'estetica visiva e sonora di Eno (già cristallizzata nel ralenti di “By This River”): ciò nonostante, un bordone plumbeo e persistente in profondità attribuisce una sfumatura dark in grado di allargare il loro margine di separazione.
I gesti dei due maestri sono al contempo spontanei e controllati, gentili ma risoluti in rapporto alle diverse sorgenti e superfici sonore predisposte. Nicolai agisce su piccoli cembali in bronzo con l’archetto, mentre Sakamoto sfiora con un battente delle ampie campane tibetane; le stesse ampie finestre, percosse con le dita o sfregate con martelletti di gomma, divengono una “tela” sonora per mezzo della microfonazione a contatto. I segnali radar di marca Noto si fanno talmente sottili e continui da divenire parte invisibile del tessuto principale, sul quale prevalgono rintocchi pervasivi, tintinnii e tenui cascate di suono artificiale.
 

Nel 2010 alva noto e Blixa Bargeld degli Einsturzende Neubauten pubblicano prima un dodici pollici (Ret Marut Handshake) e quindi un album (Mimikry) a nome anbb. Il punto di partenza alla base di Mimikry è piuttosto semplice: innestare sui plumbei soundscape infarciti di rumorismi, spunti glitch ma anche passaggi ambientali di Noto, le declamazioni oscure (quando non ai limiti della psicosi) di Bargeld. Il risultato non è però, in effetti, una semplice sommatoria, quanto piuttosto una fusione. Nel cupo e raggelato cerimoniale pagano di Fall, negli squarci di follia omicida di "Once Again", nel plumbeo lied sintetico da camera di "Bersteinzimmer", nell'inquietante ed isterica cantilena in crescendo di "I Wish I Was A Mole In The Ground", nell'ammasso di beat tritacarne di "Mimikry", nel dancehall degli inferi di Berghain, nella tormentata "Wust" (squassata da improvvise deflagrazioni elettroniche) e nelle perversioni in salsa glitch di "Katze" (che vanta un featuring di Veruschka, icona della moda anni 60) si consuma un delitto: quello dell'Uomo. La voce di Blixa, infatti, è inglobata nel blob sintetico creato da Alva Noto, al punto tale da diventarne parte integrante, elemento inseparabile ed indistinguibile dalla miriade di loop, manipolazioni ed effetti digitali che costituiscono le partiture delle dieci tracce. La Voce insomma, perde la sua umanità per trasformarsi in mero strumento, anche quando sembra rilucere ancora di un barlume di vitalità. Sembra una goccia di tranquillità nella tempesta la meravigliosa cover di "One" di Harry Nilsson.

Contributo di Riccardo Zanichelli ("Summvs"), Marco Loprete ("Mimikry") e Michele Palozzo ("Glass"), Matteo Ortenzi ("HYbr:ID I")

Alva Noto

Discografia

NOTO

Spin (raster-noton, 1996)

6

(raster-noton, 1997)

6,5

Kerne (raster-noton, 1998))

6

Telefunken (raster-noton, 2000)

6

Autopilot/Autorec (raster-noton, 2002)

7

ALVA NOTO

Prototypes (Mille Plateaux, 2000)

7

Transform (Mille Plateaux, 2001

8

Transrapid (Ep, raster-noton, 2004)8
Transvision (Ep, raster-noton, 2004)

8

Transspray (Ep, raster-noton, 2004)

6

For(raster-noton, 2006)7
Xerrox Vol. 1(raster-noton, 2007)

7,5

Unitxt (raster-noton, 2008)

5,5

Xerrox Vol. 2(raster-noton, 2009)

8

For 2 (12k, 2010)6,5
Univrs (raster-noton, 2011)8
UNIEQAV (NOTON, 2018)
HYbr:ID I (Noton, 2021)6,5
ø + NOTO
Mikro Makro (raster-noton, 1997)
Wohltemperiert (raster-noton, 2001)
SIGNAL
Waves And Lines (raster-noton, 1998)
Centrun (raster-noton, 2000)7
Robotron (raster-noton, 2006)7

ALVA NOTO + RYUICHI SAKAMOTO

Vrioon (raster-noton, 2002)7
Insen (raster-noton, 2005)6
Revep (raster-noton, 2005)5,5
Utp_ (raster-noton, 2006)7,5
Summvs (raster-noton, 2011)7,5
Glass (NOTON, 2018)7
TWO. Live at Sydney Opera House (NOTON, 2019)6
OPTO
Opto Files (raster-noton, 2001)7
Opto Files: 2nd (raster-noton, 2004)6,5
CYCLO (con Ryoji Ikeda)
Cyclo (raster-noton, 2001)5
ALEPH-1
Aleph-1 (Impartement, 2007)

6,5

ANBB
Ret Marut Handshake7
Mimikry8
ALTRE COLLABORAZIONI VARIE
13 (raster-noton, 1999) + Yoko Towada

6,5

Uniform (Sfmoma, 2001) + Scanner6
Electronics (Zeitkratzer, 2008) + Zeitkratzer 6
Alphabet (NOTON, 2019) + Anne-James Chaton5
Pietra miliare
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Prototype 6 (Prototype, 2000)
Inset (Insen, 2005)