L’impulso, l’ansia di catalogazione dello scibile umano si erano già manifestati in maniera sparuta ma continuativa nel corso della trilogia "uni" di Alva Noto, tra acronimi, sigle di multinazionali e sequenze di Dna. Il recitato da automa del performer Anne-James Chaton ha così rappresentato un sottile trait d’union concettuale, ma a parte il trio di “Décade” con Andy Moor dei The Ex (storico collaboratore di Chaton) sinora non c’era ancora stato un intero progetto a quattro mani. “Alphabet” si annuncia da subito come un radicale tour de force fra i tortuosi schemi cui sottostavano i brevi episodi passati.
Prendendo liberamente le mosse dalle Etymologiae dell’arcivescovo Isidoro di Siviglia (560-636 d.C.), Chaton opera un’arbitraria riduzione del mondo reale attraverso i codici che la civiltà gli ha attribuito, attraverso due metodi complementari di recitazione che si alternano nella tracklist con esattezza programmatica. La serie ha inizio con una successione di monosillabi in ordine di vocabolario, di fatto svuotati del loro significato per sfruttarne la sola qualità fonetica; questa specie è affiancata da Nicolai con loop classicamente minimali e perlopiù immutabili, attraversati qua e là da tiepide scie melodiche che investono così la griglia ritmica con una materia sonora più liquida.
L’altra metà degli spoken word affronta differenti schemi con più specifiche valenze semantiche, benché “parlanti” solamente in relazione al loro specifico insieme di referenze: i codici d’emergenza passati via radio tra le pattuglie di polizia (“CRIME”); l’enumerazione delle mosse di una partita di scacchi, secondo i numeri e le lettere del tavolo da gioco (“FOU”); gli esiti dei lanci di sonde spaziali dalle stazioni sovietiche (“LUNE”); le combinazioni di rime nei versi di un sonetto (“SONNET”). In questi casi il commento sonoro si rende decisamente più atmosferico ed esplorativo, allargando le maglie dei motivi glitch in ambientazioni desertiche – ma nondimeno opprimenti – da fantascienza vintage.
Sussiste una pesante ambivalenza: se da un lato “Alphabet” è tra i più rigorosi coronamenti dell’estetica elettronica di Alva Noto, dall’altro segna lo schiacciante trionfo della cerebralità sull’invenzione, dell’indole arty e performativa su quella musicale, quest’ultimo il fattore determinante che previene la produzione di Nicolai dal divenire un mero dispiego di ingegno tecnologico. Anche senza la monotona “poesia del vacuo” di Anne-James Chaton, questo progetto sconfinerebbe ugualmente nella noia e nello sconforto di un’ispirazione sacrificata all’altare del mero concettualismo.
03/12/2019