Le colline intorno a Palombara Sabina sono dimora della vite e degli alberi d’ulivo. Scavando nella terra argillosa di quelle colline si possono trovare, perfettamente conservati, fossili di conchiglie e di pesci che appartengono a un’altra epoca. Nel mezzo del lavoro di ricerca per la stesura d'un opuscoletto circa le nuove tendenze del suono, per caso ho incontrato William Basinski. Ho avuto poi modo di parlarci al telefono, di fargli delle domande sul suo pensiero musicale e sull'estetica delle sue composizioni. E lui, con la capacità di sintesi che accompagna gli individui straordinari, mi ha indicato le chiavi di lettura per i suoi lavori e mi ha fornito diversi spunti di riflessione. Basinski è innanzitutto un musicista, un sassofonista che ha sempre masticato il jazz. Oltre a questo, ha vissuto i percorsi della sperimentazione, confrontandosi così anche con gli aspetti più tecnici dell’arte musicale moderna. Quindi non solo costruire con i suoni, ma, scomodando un illustre pensatore, "costruire il suono dal suo interno", cesellarlo istante per istante ed evento per evento come materiale plastico.
La via è quella della musica concreta, il modo di percorrerla è quello del sognatore, di uno sempre attento al lato emozionale, alla ricezione inconscia del messaggio ed alla suggestione che questo può indurre nell'ascoltatore. Basinski utilizza materiali e fonti analogiche, opera in digitale solo per quanto riguarda il missaggio e la masterizzazione. Chiede organicità ai suoi suoni, ne vuole respirare la fibra sottile, quella che resta tra le mani setacciandoli e scomponendoli, "disintegrandoli" come direbbe lui stesso. Nei suoni vede le immagini, perché il suono è intrinsecamente immagine e non deve per forza esserci un rapporto gerarchico di causa-effetto tra i due. Lui presta la sua musica alle istallazioni e agli show di luci, ricevendo in cambio la multidimensionalità che colpisce l’occhio e l’orecchio pubblico.
Multisensorialità si potrebbe azzardare, strategia psicoacustica, rito sciamanico, magia che ti fa ascoltare musica anche quando questa cessa di essere. I loop ripetuti per un’ora e depauperati della pasta sonora in modo lento ma continuo compiono il miracolo. Nel cervello e nelle orecchie rimane traccia del suono, meraviglioso incantesimo, nulla è perduto, tutto viene ricostruito. I fossili nella terra rossa delle colline di Palombara Sabina ricordano che lì, una volta, c’era il mare.
La riscoperta di William Basinski è cominciata con la meravigliosa serie dei Disintegration Loops, quattro cd-r (poi ristampati in formato cd) e un Dvd che hanno decisamente contribuito a far conoscere l'arte del musicista americano nel mondo. Prima di allora, in pochi si erano accorti di lui. La leggenda vuole che sia stato Carsten Nicolai, boss della label tedesca Raster-Noton, a scoprire Basinski durante un soggiorno a New York. E in effetti il long-playing di Shortwavemusic è la prima opera del catalogo di Basinski a essere stata pubblicata proprio dalla Noton nel lontano 1997. Da anni fuori stampa, il disco è stato ristampato all'inizio del 2007 in cd con aggiunta di bonus track. A quel tempo Basinski stampava i suoi cdr in edizioni ridicole di appena 300 copie. Pochi si accorsero della bellezza di Watermusic, ma con la serie Disintegrtion Loops le cose cominciarono a cambiare.
The Disintegration Loops I è una lunga litania in memoria della tragedia dell’11 settembre del 2001. In quei giorni Basinski stava riversando da vecchi nastri i suoni che sarebbero andati a finire in questo lavoro, e ha assistito da spettatore attonito al tragico evento. Non si tratta di un manifesto politico ma di un quadro impressionistico sul dolore, sull’angoscia della sparizione e del mancamento. Detriti che lentamente offuscano i sensi. Una sensazione sola, sempre la stessa che si ripete all’infinito e il tempo sembra essere andato fuor di sesto. La prima immagine di questa interminabile ripresa dura più di un’ora, sessantatré minuti e mezzo per la precisione. Poi altri dieci minuti abbondanti di un vuoto desolante: una sirena stanca e strozzata che ha il compito di rassicurare, e invece con il suo eco smisurato conferma solo il terribile vuoto che si è venuto a creare.
The Disintegration Loops II uscì a un anno di distanza dal primo volume, nel 2003, in formato cd-r sempre per l'etichetta privata di Basinski, la 2062. La struttura del lavoro è analoga a quella del primo volume, ma qui i due brani sono rispettivamente di trentadue e quarantadue minuti. Solo micro-variazioni nel mixaggio e nella consistenza del loop distinguono i brani iniziali dei due lavori. Non per questo l’impatto è meno devastante, tutt’altro: i detriti scorrono ciclicamente sopra frammenti di melodie che nella loro leggerezza e inconsistenza quasi commuovono. Lo shift dei due livelli sonori fa sì che ogni tanto il loop "disintegrato" lasci più spazio alla quiete desolante del livello più basso. Il passaggio al secondo movimento è un capolavoro: questi intervalli sono il vero punto di forza della serie Disintegration Loops, attimi che dimostrano la grandezza dell'arte di William Basinski.
Sempre nel 2003 escono anche i volumi 3 e 4 della serie. The Disintegration Loops III è diviso in due parti, la prima di 20 minuti e la seconda di 52. La copertina ritrae la scena della tragedia ad alcune ore di distanza. Il cielo è scuro e i detriti avvolgono le luci della città. La musica è quasi rassicurante: una frase di pianoforte sepolta sotto le macerie emerge come le luci sotto le nubi sulla città. Nella seconda parte il loop diventa quasi orchestrale perdendo parte della componente ritmica che aveva nei primi 20 minuti. Una lunga agonia che si trascina per quasi un'ora di durata.
L'ultimo capitolo della tetralogia, The Disintegration Loops IV è l'unico diviso in tre parti: la prima di 40', la seconda di 21' e l'ultima di appena 12'. Orfeo ha preso oramai possesso dell'intera città e la sua Lira risuona tra le strade desolate e ancora scosse dalla valanga di detriti che lentamente si muovono nell'oscurità. La sinfonia in tre movimenti sembra essere una sintesi di quanto accaduto in precedenza: al movimento della prima parte, segue la contemplazione della seconda e, infine, la rassegnazione della terza. Esiste anche un Dvd con il titolo The Disintegration Loops 1.1 con immagini riprese dal tetto del capannone dove vive Basinski a Brooklyn (l'Arcadia). Si vede la stessa scena delle copertine della serie Disintegration Loop: una nube di detriti che lentamente riempie il cielo mentre intorno si fa notte.
Come la serie Disintegration Loop, anche la Watermusic è divisa in più volumi. Il primo consiste di un'unica lunga traccia di sessanta minuti. Un'ora di ambient music costruita da Basinski suonando un sintetizzatore Voyetra. Un drone leggero, delicato e impalpabile prende lentamente possesso dell'atmosfera girando su se stesso come una manta sul fondale dell'oceano. Terry Riley e Brian Eno sono punti di riferimento che non devono trarre in inganno: il tocco di Basinski è distinto e personale, e la sua Watermusic è tutt'altro che un semplice omaggio a questi maestri. Anche il secondo volume è un unico lungo brano di 66 minuti. Non c’è in queste due opere la drammatica urgenza di comunicazione che si respira in The Disintegration Loops, e la tessitura elettronica si fa più sperimentale e colta. Dal punto di vista opposto si potrebbe dire una computer music estremamente umana. La struttura è costruita su suoni d’organo modulati da un drone mediamente alto in frequenza. Le note compaiono e scompaiono come le onde sulla superficie del mare, mentre il drone, la superficie stessa, c’è sempre. Basinski sembra volerci comunicare che la visione della vastità può essere affascinante, mentre la presa di coscienza è devastante: lascia immobili, superficialmente inebetiti, inutilmente attenti a quello che non è a misura d’uomo. A tratti fredda, a tratti soave, questa musica è un inno alla contemplazione. Ricalibra i neuroni e, come spesso accade con questo tipo di suoni, rende evidente che la sensazione del tempo non è oggettiva.
Prima della fine del 2002 la tedesca Raster-Noton pubblica un doppio cd di William Basinski, The River, che contiene musica registrata e prodotta nel lontano 1983 utilizzando onde radio e poco altro. Due lunghi brani, che molto probabilmente sarebbero uno solo se il cd potesse contenere novanta minuti di musica, che lentamente crescono di spessore, addensando strati su strati a diverse velocità fino a creare una struttura multidimensionale impressionante, completamente indipendente dalle coordinate dello spazio circostante. I rumori che giornalmente potremmo sperimentare in ogni casa, nelle mani del musicista di New York diventano una sinfonia di lava incandescente che lentamente cola e si addensa in strutture apparentemente vuote, che improvvisamente rivelano distanze relative enormi. Se mai avete sentito parlare di scienze architettoniche applicate al suono, questo cd è un buon esempio per capire di cosa si tratta.
Ancor prima delle registrazioni di The River, Basinski aveva messo su nastro alcune idee di ambient-music, che ventiquattro anni più tardi hanno visto la luce grazie alla tedesca Three Poplars su un Lp dal titolo A Red Score In Tile. Musica dalle tinte tenui e dall’impatto devastante, in cui i suoni degli strumenti acustici ancora non vengono coperti da strati di macerie sonore. L’idea di concepire un lungo brano che lentamente acquisti spessore grazie allo sfasamento è il credo di Basinski fin da quest’opera. La differenza con il classico lavoro di Eno e Wyatt dell’anno prima (i brani di “A Red Score In Tile” sono stati pensati nel 1979), è tutta nella concezione della cellula sonora da shiftare: mentre i due musicisti inglesi usavano una frase di pianoforte da suonare, qui c’è un suono quasi interrotto, non completamente melodico, anzi "monco", che lascia alle sue spalle un flebile drone leggermente modulato. E’ davvero sorprendente come la scelta di pochi intervalli sia così determinante per la riuscita di questa musica. Basinski ripete sempre la stessa frase, ma con una passione tale che è impossibile resistergli. Le orecchie chiedono continuamente di essere calibrate con questi suoni, di cui non si riesce più a fare a meno.
Per molti, compreso chi scrive, Melancholia è il capolavoro di Basinski. Quattordici composizioni pensate e registrate durante un arco temporale di più di dieci anni che insieme danno vita a uno dei più bei lavori di ambient-music di sempre. Le note di pianoforte lasciate alla deriva su tappeti elettronici inevitabilmente rimandano alle gloriose collaborazioni di Brian Eno e Harold Budd, ma la bravura di Basinski è solo quella di un ottimo artigiano con gusto: la sua arte descrive un mondo dove la Natura non è fatta a misura d’Uomo, è molto più grande e inesplicabile. Ci sono frammenti di musica dove il vento spazza lande desolate, foglie che crepitano al passare del tempo, loop che si infrangono sul mare dei ricordi, e tutto è talmente coeso da far sperare che Basinski abbia altri brani nel cassetto per nuovi lavori come questo.
L'annunciato Variations: A Movement In Chrome Primitive è uscito solo nel 2004, in ritardo rispetto ai tempi previsti a causa del crollo della Durtro, l'etichetta dei Current93. Avvenimento che in ogni caso non ha impedito a David Tibet di incoraggiare Basinski a completare quest’opera. Di risposta, William ha pescato dai suoi archivi otto magnifiche tracce e dopo averle restaurate alla sua maniera, le ha divise su due cd, che grazie alla collaborazione della Die Stadt sono stati pubblicati in una bella confezione cartonata. Le atmosfere sono simili a quelle di A Red Score In Tile, quelle della prima fase artistica di Basinski (fine anni 70-inizio anni 80). La tecnica usata in queste registrazioni è quella del campionamento artigianale, realizzato utilizzando solo del nastro magnetico e dello scotch: sembra incredibile come dalla casualità con cui le cellule sonore ripetono alcune frasi di pianoforte escano fuori sinfonie di una bellezza struggente.
L’organizzazione del rumore è diventata col tempo una caratteristica essenziale della musica di Basinski. Lo stato dell’arte in questo campo è stato raggiunto nell’imperdibile serie Disintegration Loops. Lo stesso concetto è alla base di Silent Night (pubblicato come “Variations: A Movement In Chrome Primitive” nel 2004), un lungo brano di un’ora composto suonando il sintetizzatore Voyetra 8. Apparentemente l’atmosfera di questo lavoro è rilassata e meditativa, ma una malinconia pungente serpeggia nella melodia che lentamente si trascina per tutta la durata del brano.
William Basinski ha riscritto i principi della musica ambientale e non stupisce che un esperto conoscitore di sonorità di confine come Massimo Ricci lo abbia incoronato "re dell'ambient music".
Nel 2004 Basinski trova il tempo di collaborare con una nuova promessa dell'ambient sperimentale, un altro musicista legato a doppio filo alle arti visive proprio come lui, Richard Chartier. Se Basinski si cimenta in film e installazioni di ogni genere, Chartier è famoso per i suoi quadri che vende sul sito dell'amico Taylor Deupree, con il quale ha aperto una sotto-etichetta della 12k, la Line. Ma è per l'attenta giapponese Spekk che la collaborazione tra i due newyorkesi vede la luce. Un'ora di microelettronica astratta e lieve, solo formalmente divisa in due parti. Le atmosfere sono quelle della musica cosmica di Eno, ma il grado di attenzione al particolare è tale che nulla sembra muoversi.
Continuano a emergere gemme preziose dagli archivi di William Basinski. Altri vecchi meravigliosi nastri come quelli di The Garden Of Brokenness risalenti al lontano 1979. La musica di Basinski fa della disgregazione dovuta al passare del tempo una componente fondamentale. E The Garden Of Brokenness non fa eccezione. Sulla scia di Melancholia e Silent Night, il musicista di Brooklyn ci regala un altro capolavoro di musica ambient. Ascoltando la frase di pianoforte prima reiterarsi, poi scomparire e infine ricomparire dal nulla, la gola quasi si rompe per trattenere il respiro, mentre la mente vola alle collaborazioni di Eno e Budd degli anni ’80 (ma anche a quella di Eno con Robert Wyatt nel seminale “Music For Airports”). Forme che sembrano immobili ma che Basinski riesce a rileggere con semplici spostamenti dei primi piani, e con l’aggiunta di oscuri rumori in sottofondo. Un drone a metà del programma prende il sopravvento sulla melodia spezzata suonata dal pianoforte creando un contrasto che ribalta la prospettiva. Il temporale poi si allontana, ed è di nuovo pace.
Nel 2006 William Basinski ha pubblicato una delle sue opere più care, Variations For Piano And Tapes (il primo digipak dopo tante confezioni cartonate). Il musicista americano si è innamorato dell'Italia dove negli ultimi anni ha passato sempre più tempo. La pace e la tranquillità idilliaca di una permanenza a Pantelleria nella primavera del 2003 sono state la fonte d'ispirazione per quest'opera. L'ennesimo nastro pescato nel suo incredibile archivio. Una frase di pianoforte e un loop si inseguono, mentre dall'altra parte del nastro magnetico giungono sulla testina echi di suoni come ricordi da epoche lontane.
L'anno seguente è la volta di El Camino Real,un altro loop scovato in chissà quale cassetto. Il disco è composto da una sola composizione di 50 minuti. Una frase suonata dalla solita irriconoscibile orchestra fantasma (un pianoforte? degli archi? una voce femminile?) si ripete all'apparenza all'infinito senza soluzione di continuità, andando a scavare tra le sinapsi più delicate del nostro cervello. Musica che si nutre di micro-movimenti e che sprigiona un magnetismo degno delle opere di Arvo Part. Forse involontariamente, ma con risultati strabilianti, Basinski ha riscritto in questi anni il dizionario della musica ambient. Nello stesso anno Basinski pubblica la ristampa in cd di Shortwavemusic, pubblicato dieci anni prima dalla Noton solo in formato Lp. Al programma originale è stata aggiunta una traccia di 15 minuti.
Per Basinski il tempo non scorre linearmente. Così anche 92982 (2009) nasce dal ritrovamento di vecchi nastri, registrati più di 25 anni fa. Supporti magnetici oggi restaurati con l'ausilio di tecnologie audio-informatiche. E per confondere meglio la percezione dello spazio-tempo, questa volta Basinski ha inserito nella scaletta un brano nuovo, costruito però sulle stesse idee che hanno inspirato i loop registrati a New York il 29 settembre del 1982 (da qui il titolo del disco). Il suono di 92982 si sgretola, ma non si disintegra, come accaduto alla sua celeberrima serie di loop. La malinconia invece è quella dei suoi migliori lavori.
"92982.1" proietta l'ascoltatore in un ambiente ovattato: un loop placido e bucolico costruito su note di piano e archi si ripete apparentemente identico per quattro minuti e trenta secondi, momento in cui un cambio di fase apre una parentesi lunga quasi un minuto di sospensione a gravità zero. E' l'essenza dell'arte di Basinski, capace di rappresentare con minime variazioni il suo universo musicale.
Sulla successiva “92982.2” dietro un fragile loop in decadimento si sentono in sottofondo i suoni di un temporale, di un elicottero e più avanti di un'ambulanza. Segnali di vita entrati da qualche finestra durante le registrazioni della musica. La terza traccia (“92982.4”) è la versione estesa di una composizione già apparsa sull'album Variations: A Movement In Chrome Primitive del 2004. Il disco si chiude con lo stesso tema con cui è cominciato: “92982.3” è la nuova versione di “92982.1” registrata nel febbraio del 2009 a Los Angeles. Più che a una reprise il brano fa pensare a un cortocircuito spazio-temporale: è come se Basinski avesse scardinato le regole del tempo e fosse in grado di far viaggiare il suono lungo i percorsi della sua esistenza.
La magnifica cover che annuncia Aurora Liminalis è un biglietto da visita quantomai indicativo per introdurci al nuovo album di Richard Chartier e William Basinski. Se di Chartier si era parlato non troppo tempo fa, in occasione dell'ottimo “Recurrence”, per Basinski si tratta di un ritorno dopo tre anni di silenzio totale. Non sorprende dunque che questo secondo lavoro della coppia, successore di Untitled (datato 2004), sia fra le prove più atmosferiche e “calde” mai prodotte da entrambi i musicisti. Le sperimentazioni ambientali di Chartier e la passione per i cicli sonori di Basinski trovano infatti un compimento del tutto nuovo, immerse in un caustico tramonto emotivo di stampo ambient che le ricongiunge con naturalezza ai soundwork più oscuri dei corrieri californiani (A Produce e Lustmord, ma anche lo Steve Roach di “Day Out Of Time” e “Dynamic Stillness”).
La suite unica di tre quarti d'ora abbondanti che prende il nome dal disco e lo compone per intero è un'avvolgente massa sonora in lento ma continuo movimento, perfetta per rappresentare le sinuose scie dell'aurora. Il crescendo dei primi minuti parte dalle profondità del dark-ambient per prendere sempre più luce: è uno scambio fra il minimalismo (quasi non-musicale) di Chartier e i loop di Basinski, mai così intrisi di field recording e strati sovrapposti. Dopo i primi venti minuti, il processo s'inverte: la discesa nell'oscurità è ancor più lenta e impercettibile, ornata dal progressivo scomparire degli echi melodici in favore dell'ascesa di sample naturali e crepitii, che divorano a poco a poco la materia sonora fino a sfumare solitari nei cinque minuti conclusivi.
Un piccolo capolavoro da due grandi dell'elettronica contemporanea.
In questo senso, Nocturnes (2013) si inserisce nel catalogo del sacerdote di Houston come la sua composizione più simbolica e globale, come una specie di manifesto esemplificativo della resa estetica del suo pensiero astratto.
Al centro della lunga composizione una manciata di loop da piano preparato dagli attacchi “smussati”, registrati originariamente nel 1979, epoca in cui Basinski era solito sperimentare a bassissimo budget in un loft di San Francisco, con compagno e pochi amici. L’ascolto è fissato in un eterno istante in continuo mutamento, la memoria si ripresenta persistente, uguale ma mai uguale, continuamente soggetta a trasformazioni, rifrazioni a velocità diverse e crossing impercettibili.
La seconda composizione dell’album si presenta invece differente ma in qualche modo complementare: nato dalla collaborazione del 2009 con Marina Abramovic (il progetto “The Life And Death Of Marina Abramovic”), “The Trail Of Tears” è un altro lungo flusso di inconfondibile mano basinskiana, questa volta un tape in progressive-delay, il suo dramma più “dark” e mortuario, prima di ascendere in un inaspettato stato di appagamento e consapevolezza a chiudere idealmente il discorso del disco. Come a ribadire la natura occulta in cui la memoria si insinua nel tempo, e il tempo che può essere conquistato solo in se stesso.
Nocturnes può essere considerato il compimento del percorso metafisico del compositore e del suo sfogo sulle macchine. Se non il suo disco formalmente più accattivante, la sua opera più oscura e profonda, quella che più di tutte riesce nell’intento di cristallizzare il momento, restituirlo alla sua natura a-storica, al fine di essere rivissuto con una coscienza nuova nella sua reincarnazione successiva.
Basinski è un maestro nel costruire loop che sembrano provenire da epoche lontane e farli suonare all'infinito, in tondo, come se dovessero cantare delle rovine del tempo. Una tecnica affinata in più di trent'anni di carriera che pur nelle poche variazioni di cui si nutre riesce sempre a stupire e coinvolgere. L'incantesimo si ripete sull'elegiaco Cascade (2015) - pubblicato insieme ad un 'gemello' su vinile, The Deluge Live At Issue Project Room (scaricabile gratuitamente da chi acquista il cd di Cascade). Quaranta minuti di musica che avvolgono l'ascoltatore in un alone di nebbia e commozione. Una frase di pianoforte si perde in una cascata di malinconia come nelle migliori composizioni di Robert Haigh. Il cambio d'atmosfera che Basinski piazza a quattro minuti dalla fine è il colpo da maestro di un musicista in perenne stato di grazia.
Sui trentasei minuti del live il pianoforte scompare per buona parte del brano sotto cascate di tumultuosi riverberi. Quando riappare l'atmosfera rimane comunque segnata da un eco di rumore. La trama perde parte della fragilità presente su Cascade, pur mantendendo la stessa dirompente malinconia.
Sempre nel 2015 William Basinski e Richiard Chartier pubblicano solo su vinile la loro terza collaborazione, registrata insieme l'anno precedente: Divertissement segue di due anni Aurora Liminalis e vede ancora una volta i due musicisti americani ritrovarsi a dialogare sui concetti di spazio e di tempo. Le due lunghe tracce che occupano i due lati dell'Lp - pubblicato dall'Important anche in un'edizione colorata limitata a 100 copie - sono densi magma sonori costruiti immergendo i consueti loop su nastro magnetico di Basinski in maestose strutture elettroniche le cui pareti sembrano in grado di riverberare qualsiasi sospiro. Scampoli di melodie ultra melanconiche illuminano il racconto con forza accecante.
Nel 2017, a un anno dalla morte dell'icona David Bowie, la dedica di A Shadow In Time – e specificatamente il suo primo brano – è rivolta al David Robert Jones registrato all’anagrafe londinese nel lontano 1947: un loop corale di appena dieci secondi ne scandisce l’intera estensione, in quello che inizialmente ha l’aspetto di un accorato requiem classico, ma il cui assorbimento estatico viene d’un tratto scosso dal contrasto quasi violento con un frammento estraneo; è un inserto aspro e amorfo, che il nastro logoro rende simile all’incrocio impossibile tra una linea di chitarra distorta e un sassofono dai toni dolenti. Una netta dicotomia sonora che riesce a sottolineare la coesistenza di sensazioni complesse nel momento del lutto – commozione, gratitudine, ma anche sincera amarezza per un addio inaspettato. La successiva title track non è altro che una nuova aurora liminale, un necessario spazio di distensione psichica e quieta trascendenza ove sembra annullarsi qualsiasi afflato esibito finora. Senonché, a pochi minuti dalla conclusione, riaffiora spontaneamente un estratto ricorrente apparso in “Melancholia” (2005): una manifestazione epifanica che cela la vera dedica che il Nostro ha serbato da ultima per sigillare il suo umile e quantomai fragile ricordo di una figura così segnante della storia recente.
Assieme al sentimento malinconico, è inequivocabile la ricorrenza dell'elemento temporale nella produzione del sound artist americano: materia prima ed essenza della tape music, esso fa sì che l’opera di Basinski somigli a un percorso di assurgimento da cronos, tempo come successione lineare, ad aion, tempo assoluto ed eterno; un’utopia inseguita invano dall’arte classica e che nell’ambient music, da Brian Eno in poi, è divenuta il nucleo di brani generativi che già racchiudono la potenzialità dell’infinito.
In On Time Out Of Time la sorgente primaria delle espansioni atmosferiche elaborate da Basinski sono i suoni rilevati dall’osservatorio statunitense LIGO, per mezzo di interferometri laser, in relazione alla fusione tra due buchi neri avvenuta 1,3 miliardi di anni fa. Ciò significa tracciare idealmente una linea che, originata in un passato troppo remoto da concepire razionalmente, attraversa l’ignoto sino all’immediato presente.
La traccia titolare di quaranta minuti porta indubbiamente con sé l’eredità di Steve Roach, Thomas Köner e Lustmord ma segue lo stesso sviluppo per gradazioni di gamma dell’affresco “Mono No Aware”, metà della coeva collaborazione con Lawrence English (Selva Oscura); una musica delle sfere che da una sfocata oscurità si apre ben presto alle frequenze acute di baluginanti cerchi concentrici, entro i quali si fa poi strada una più nitida sinusoide melodica, solenne raggio che potrebbe persino custodire il mistero ultimo dell’universo.
Come altre volte in passato, Basinski sigilla il disco con un più breve episodio, “4(E+D)4(ER=EPR)”: una coda ancor più accomodante e trasognata, d’ispirazione decisamente più attuale, percorsa dalle quasi impercettibili oscillazioni di tono cui sono soggetti i nastri magnetici. Dieci minuti di estatico abbandono che riconfermano la sensibilità minimalista di colui che oggi è giustamente considerato un nuovo maestro dell’ambient.
Nel 2020, pochi mesi dopo la pubblicazione di un progetto (stranamente) ritmato e kitsch che il compositore e musicista statunitense ha editato con l’effige Sparkle Division unitamente a Preston Wendel, vede la luce Lamentations, versione per loop del concetto di lamentatio, artisticamente e religiosamente intesa sia come l’insopportabile dolore della madre che osserva impotente la morte del figlio, sia come urlo di dolore dell’umanità di fronte a una tragedia inconsolabile. Se il volto di Maria che guarda il figlio Gesù morente ha segnato gran parte dell’arte religiosa, anche Basinski traccia percorsi simili, con sinfonie per loop strazianti, dove lo strazio e la sofferenza percepibili talvolta sfiorano il sublime nel canto disperato su sottofondo elettronico di “O, My Daughter, O, My Sorrow”, dove per metà dei sette minuti di durata i suoni sono posti ai margini dell'udibilità, inseriti in uno schema discendente scuro e acquoso di indistinguibile strumentazione.
Il progetto, nella sua totalità, parte dal recupero di alcune sequenze rimaste nel cassetto per più di 40 anni, erette su frammenti orchestrali registrati in serie, statiche interruzioni e sfocate profondità molto vicine alle magistrali sonorità austere dell’epocale The Disintegration Loops. Tali manipolazioni sonore si mostrano con un approccio più espansivo e giocoso, fievolmente meno severo rispetto al passato. Il disegno ideato da Basinski è un vero e proprio viaggio siderale verso il nucleo di un vortice che custodisce all’interno della propria spirale morbidi e paradossali appigli offerti per affondare con serenità nel vuoto del dolore.
L’astratto percorso passa dalla gotica traccia di apertura "For Whom The Bell Tolls", solenne e oscuro presagio dark-ambient, alla delicatezza dei mutevoli frammenti melodici di "The Wheel Of Fortune". Gran parte della raccolta si libra tra questi due grandi riferimenti. L'ampiezza informe di “Passio” posa in primo piano il crepitio scintillante del decadimento, mentre "Transfiguration” alterna accenni sibilanti che perforano torbide nuvole, quasi similari al silenzio dell’Aldilà. Poi spuntano dal mazzo tre pezzi caratterizzati da un ossimoro sonoro di tempestosa pacatezza, formato da udibili voci femminili, fuse su toni quasi operistici, che si rivelano, in definitiva, un vero e proprio urlo di dolore.
Gli undici minuti di “All These Too, I, I Love” e il dark-drone di “Please, This Shit Has Got To Stop” distribuiscono brevi e ripetuti tagli di melodramma vocale, dando il senso di un vecchio disco operistico, in gommalacca, che salta sul grammofono all’alba dei tempi.
Il resto delle tracce si mostra più lineare. L’alterazione in loop dei suoi vecchi nastri è una cupa ellissi che trova il climax nella ripetitività, da toni morbidi e smorzati (“Paradise Lost”), a gesti molto più spettacolari, seppur elegiaci (“Tear Vial”).
La sequenza finale (“Fin”) è un'affascinante cesellatura degli storici “Disintegration Loops”: appena un minuto e mezzo, costruito su una minuscola e trascinata nota che suona sull’interferenza di uno strisciante microfono, mentre l’intera opera di Basinski, nel suo insieme, s’inchina con grazia. Sbalorditivo.
Music For Abandoned Airports: Tegel (2021) riprende e rielabora una vecchia registrazione del 1998, per omaggiare l’album capostipite della musica ambient “Music For Airports” (1978) di Brian Eno. Se da una parte Basinski omaggia esplicitamente il maestro Eno - riconoscendone quindi il suo ruolo - dall’altro svuota i luoghi che Eno aveva immaginato pieni di uomini che (non) ascoltano la sua musica da arredamento per ambienti, per trasformare le intuizioni di Eno in colonna sonora cupa per luoghi abbandonati, come ruderi che testimoniano il disfacimento della presenza umana nel mondo.
Music For Abandoned Airports: Tegel si presenta con un brano tipico di Basinski, un lunghissimo loop che prosegue la sua opera di testimonianza della decomposizione della materia sonora, in un’ipotetica colonna sonora di quello che sarà inevitabilmente il futuro di ogni cosa. Se gli aeroporti di Eno erano carichi di vita, quello di Basinski è un requiem senza tempo che racconta la storia dell'aeroporto di Berlino diventato oggi un luogo abbandonato, simbolicamente un monito alla società moderna.
Altro progetto a quattro mani, quello realizzato con Janek Schaefer.
Prodotto da Rafael Anton Irisarri e dedicato ad Harold Budd, …On Reflection è una lunga composizione divisa in cinque parti, elaborata dai due musicisti in un arco di tempo che va dal 2015 al 2020. Le cinque fasi si sviluppano su sonorità elettroacustiche e meditative che restano amabilmente in bilico tra astrattismo ed espressionismo, tra ambientazioni oniriche ricche di riverberi pianistici e liquide sonorità elettroniche.
Privo di accenni scontrosi o eccessivamente introversi, … On Reflection rispetta tutti i canoni della più classica ambient-music, con un candore ed una raffinatezza compositiva che regala palpiti emotivi non immediatamente percettibili, eppur destinati a lasciare il segno. La musica è come una carezza, a volte puntellata dallo scandire più netto del piano (“…On Reflection - One”), melodicamente dimessa ma dannatamente affine alla musica cosmica tedesca (“…On Reflection – Three”), aulica e scultorea nella sua lenta ma inebriante progressione (“…On Reflection – Two”, il minimalismo delle composizioni è fluido, tra dilatazioni armoniche tonalità pastorali che raggiungono il loro climax nel gemellaggio con field recording, il canto degli uccelli e il fruscio delle onde del quinto capitolo.
La frase di pianoforte che nutre l'unica lunga composizione di September 23rd (2024) è una vecchia registrazione del 1982. Scrive Basinski nelle note dell'album: “Le registrazioni originali del pianoforte sono state effettuate su un pianoforte appartenente al mio vicino di casa John Epperson – in seguito diventato un artista drag di fama mondiale, Lypsinka – al 351 di Jay Street, spazio conosciuto come Casa Degli Artisti [sic], il nostro primo loft a New York. È stato registrato con un piccolo registratore portatile (probabilmente un Radio Shack) appoggiato sul pianoforte mentre io improvvisavo un pezzo su cui stavo lavorando dai tempi del liceo. All’inizio era piuttosto terribile, ma dopo averlo sezionato con la tecnica di cut-up di John Giorno/William Burroughs, all'improvviso […] ho ottenuto dei risultati”.
La forma d’onda del brano mostra chiaramente l’alternanza tra le due componenti del drone: la languida frase di pianoforte e il suono del feedback della linea di ritardo, che genera un suono simile a quello di un treno in lontananza. Le due parti del lungo drone si ripetono rispettivamente sei e cinque volte, alternandosi sempre. Il pianforte apre e chiude il brano. La semplice struttura del brano (ABABABABABA) mostra tutta la forza della musica di Basinski, un vero maestro nel saper riempire gli spazi con suoni e silenzi, lasciando ai riverberi il tempo di armonizzarsi con l’ambiente. Il pianoforte ripete sempre lo stesso pattern, scivolando lentamente nel banco di rumore che tutt’altro che immobile varia per intensità, forma e durata.
Da ascoltare tutta la notte in modalità "infinite repeat".
* Introduzione di Giovanni Zangrillo
Contributi di Matteo Meda ("Aurora Liminalis"), Roberto Rizzo ("Nocturnes"), Michele Palozzo ("A Shadow In Time", "On Time Out Of Time"), Valerio D'Onofrio e Cristiano Orlando ("Lamentations"), Valerio D'Onofrio ("Music For Abandoned Airports: Tegel"), Marmoro Gianfranco ("...On Reflection")
Shortwavemusic (Raster-Noton, 1998; 2062, 2007) | ||
Watermusic (Cd-r, 2062, 2001) | ||
The Disintegration Loops (Cd-r, 2062, 2002) | ||
The River (Raster-Noton, 2002) | ||
The Disintegration Loops II (Cd-r, 2062, 2003) | ||
The Disintegration Loops III (Cd-r, 2062, 2003) | ||
The Disintegration Loops IV (Cd-r, 2062, 2003) | ||
Watermusic II (Cd-r, 2062, 2003) | ||
A Red Score In Tile (Three Poplars, 2003) | ||
Melancholia (Cd-r, 2062, 2003) | ||
Untitled (with Richard Chartier, Spekk, 2004) | ||
Silent Night (Cd-r, 2062, 2004) | ||
Variations: A Movement In Chrome Primitive (Die Stadt, Durtro, 2004) | ||
Disintegration Loops 1.1 (Dvd, Vector, Headz, 2004) | ||
William Basinski + Richard Chartier (Spekk, 2004) | ||
The Garden Of Brokenness (2062, 2005) | ||
Variations For Piano & Tapes (2062, 2006) | ||
El Camino Real (2062, 2007 | ||
92982 (2062, 2009) | ||
Vivian & Ondine (2062, 2009) | ||
Aurora Liminalis (with Richard Chartier, Line, 2012) | ||
Nocturnes (2062, 2013) | ||
Cascade(2062, 2015) | ||
The Deluge Live At Issue Project Room (LP, 2062, 2015) | ||
Divertissement (with Richard Chartier, LP, Important, 2015) | ||
A Shadow In Time (2062, 2017) | ||
Selva Oscura (with Lawrence English, Temporary Residence, 2018) | ||
On Time Out Of Time (Temporary Residence, 2019) | ||
Lamentations (Temporary Residence, 2020) | ||
Music for Abandoned Airports: Tegel(2062, 2021) | ||
...On Refelction (Temporary Residence, 2022) | ||
September 23rd (Temporary Residence, 2024) |
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