Thomas Köner

Il suono della contemplazione

intervista di Matteo Meda

Se c'è un musicista che più di ogni altro ha elevato la contemplazione a verbo sonoro, quello è Thomas Köner. Campione della drone music in senso totale e fra i primi capiscuola dell'ambient come forma di sound art (e non più, dunque, di "musica" in senso stretto), il veterano tedesco festeggerà l'anno prossimo il traguardo dei venticinque anni di carriera. Un'avventura nel corso della quale ha affinato e aggiornato costantemente il suo concetto di sonorizzazione: l'elaborazione di un suono che sia in grado di descrivere nella maniera più fedele e veritiera possibile un paesaggio, le sue componenti spaziali e temporali e le sensazioni da esso evocate. Il tutto passando dalle meravigliose istantanee prolungate dei primi anni - saggi indelebili di purezza sonora che rispondono ai nomi di "Teimo" e "Permafrost" - alle sperimentazioni, in solitaria e in vari side-project, a cavallo fra i due millenni, per arrivare alla manciata di gemme regalata dai Duemila in poi. Proprio queste ultime rappresentano un capitolo particolare della carriera di Köner, dedicato interamente alla ricerca sul vuoto: temporale (nella crociera indefinita di "La Barca"), fisico (nelle field recordings post-atomiche di "Novaya Zemlya") o vitale (come nell'inchino organico dell'ultimo, splendido "Tiento De Las Nieves"), ma mai emotivo o sensoriale. Per provare a tirare le somme di un cammino lungo quanto mai eccessivamente prolifico, abbiamo raggiunto via e-mail lo stesso Köner, venendo a conoscenza in questa lunga chiacchierata del lato più filosofico ed enigmatico della sua variegata personalità.

Comincio col dirti che credo che questo tuo ultimo album sia fra le cose più belle che tu abbia mai pubblicato. Ho letto che il percorso che ha portato a questo disco è nato dopo la lettura di alcuni dei diari di Fridtjof Nansen. In che maniera ti hanno influenzato nel lavorare a questa lunga composizione?

In realtà non ne ho letti solo alcuni, ma proprio tutti. Parecchio tempo fa. Non possiedo più da tempo i libri originali, perché erano vecchissimi e pesanti, per cui quel che mi è rimasto sono alcuni passaggi che ho copiato sul mio notebook. Uno di questi si intitola "L'amore è la Neve della Vita" e da quel paragrafo origina tutto il tema di "Tiento De Las Nieves", riflesso anche nella copertina dell'album.

Come mai hai deciso di lasciare l'elettronica da parte e concentrarti solo sul pianoforte?
Volevo rendere un senso di semplicità, di desiderio, di spazio. E ho ritenuto che il pianoforte fosse lo strumento più adatto per farlo.

Hai cercato di isolare la musica e rimuovere ogni sentimento umano da essa - magari con l'intento di raggiungere una forma più pura di contemplazione, come in una fotografia - o hai provato a incorporare le tue emozioni nel suono - come in un dipinto?
Idealmente entrambe le cose. L'essere in grado di osservare e assistere non può prescindere dal fatto che l'osservatore sia sé stesso, e questo dimostra la complessità dei ricordi e delle situazioni. Il suono di questo disco possiede gran parte delle qualità spaziali che sono diventate parte della mia musica nel tempo: distanza, orizzonti, diversi gradi di visibilità, capacità di scomparire.

Il risultato si avvicina parecchio all'ambient music pianistica più contemplativa, quella che gente come Harold Budd ha evoluto negli anni. Ti senti oggi più vicino a quel tipo di suono?
Un compositore non pensa al vuoto, tutte le sue idee sono condizionate da ciò che conosce (o non conosce) nel momento in cui scrive. Però direi che la relazione principale della mia musica per pianoforte è con quella di Morton Feldman. Harold Budd di solito usa troppe note in troppo poco tempo per i miei gusti, ma nonostante questo suona molto più gradevole di Feldman!

Hai usato altri strumenti oltre al pianoforte?
Mi verrebbe da dire, paradossalmente, che lo strumento più importante nel disco non è il pianoforte, ma la maniera in cui lo abbiamo registrato, in particolare il modo in cui abbiamo posizionato i microfoni. Le rifiniture sono elettroniche, prese dalla tipica toolbox - per esempio il correttore di inviluppo - per creare elementi che suonassero sintetizzati.

L'arte di creare paesaggi con la musica è qualcosa che ha contraddistinto tutta la fase recente della tua produzione. Hai sviluppato e stai sviluppando un percorso preciso basato su questo o è solo una delle maniere che preferisci per evolvere il tuo soundscape?
La cosa più importante su cui mi concentro da sempre è una precisa osservazione. Ovviamente, il termine ha un doppio valore: in qualsiasi paesaggio fisico tu ti trovi, quest'ultimo si riflette sempre anche sul tuo spazio mentale. Per prima cosa, ho quindi da sempre bisogno di osservare con precisione per cogliere gli elementi prevalenti, e la maniera in cui cambiano. E anche questo è qualcosa che ha due lati: l'osservatore e l'osservato, che nel momento dell'osservazione si uniscono.

Nel precedente "Novaya Zemlya", avevi dato un'importante lezione riguardo l'assenza di vita in musica. Ispirandoti, anche in quel caso, a una location reale con la sua storia, in un certo senso terribile. Cosa rappresenta per te quel disco: una colonna sonora per quel luogo o una sua fotografia sonora?
Entrambe. E c'è pure un terzo elemento importante: il desiderio dell'esistenza di luoghi inesplorati e irraggiungibili. Non a caso il titolo, in russo, significa "Nuova Terra".

Pensi che quel tipo di ricerca sonora possa ricadere sotto la definizione, in senso stretto, di musica?
Sì. Musica, in realtà, non significa niente di concreto, è una pratica sociale determinata da strutture sociali. E quelle strutture sono a loro volta governate... Ecco perché a questo punto del 2014 siamo ancora qui a distinguere forzatamente tra il rumore di un frigorifero e quello di un violino.

Come hai ottenuto i suoni che hai usato? Si tratta di puri field recordings o di campioni lavorati al laptop?
Una combinazione di entrambi, ma francamente credo che la strumentazione sia meno importante della purezza della visione.

Questi due dischi, molto diversi, sono usciti per due importanti etichette come Touch e Denovali. Come ti sei trovato a lavorare con loro?
Il loro contributo alla mia musica è stato davvero prezioso, e a mia volta sono molto onorato di poter contribuire al loro catalogo!

E invece, come mai hai interrotto anni fa il tuo sodalizio con Mille Plateaux?
Perché l'etichetta è morta causa di un disastro finanziario. Una vera vergogna.

Con quell'etichetta hai pubblicato, fra gli altri, gli ottimi “Kaamos” e “Daikan”. Che hanno poi il merito di avermi fatto scoprire quelli che oggi considero ancora i tuoi capolavori, ovvero "Teimo" e "Permafrost".  Che relazione hai con il tuo passato artistico?
Curiosamente, non riesco a considerare i miei primi lavori come vecchi o acerbi. Oggi, venticinque anni dopo, li rifarei tali e quali a come li feci allora!

Che importanza ha, in generale, l'impatto visivo nella tua arte?
Molta, decisamente. Per molti dei miei lavori ho elaborato visuals apposite da utilizzare durante i live, e questo mi ha permesso di crearmi un alter ego come visual artist. Sono parecchio interessato all'interazione tra immagine e suono, per quanto paradossalmente sia cosciente che non esista nessuna relazione fra questi due elementi, che sono indipendenti e possono tutt'al più completarsi.

Pensi che la tua musica si adatti bene alle dinamiche del live?
Idealmente tutti i miei concerti dovrebbero essere un incontro fra la verticalità del tempo e il momento fuggente, con un flusso sonoro laterale, nella situazione spaziale di una location outdoor o indoor, formato dalla risonanza di un pubblico specifico e unico. Non so se potrò mai raggiungere questo modello ideale, ma di sicuro la dimensione live è essenziale per me.

Come costruisci i tuoi live set? Quanto improvvisi e quanto invece recuperi dai tuoi album?
In una situazione ideale sarei in grado di sviluppare un set completamente improvvisato. In situazioni normali cerco di far sì che l'approccio sia graduale, rielaborando composizioni esistenti e cercando al tempo stesso di arrivare in luoghi dove non sono mai stato.

Hai in programa di portare anche "Tiento De Las Nieves" sul palco?
Sì, per la prima volta saremo in due, io e mia moglie Ivana Neimarevic (che suona il pianoforte anche nel disco, ndr). Suoneremo anche la seconda metà del lavoro, più breve della prima, che vedrà la luce l'anno prossimo. Sarà fantastico, una grande sfida, perché si tratta di un pezzo difficilissimo da riprodurre in tutta la sua essenza. Serve una grandissima concentrazione per rendere al meglio il suo groove essenziale, il suo flusso e la distribuzione del suono nel tempo. Ci siamo riusciti in studio, da soli: e credimi, quella che senti sul disco è tutto meno che la prima registrazione!

So che sarà difficile rispondermi, ma magari sei già al lavoro, quindi ti chiedo: verso quali ambiti hai intenzione di condurre la tua ricerca ora?
Credo che l'avventura del suono coincida con la visione di qualcosa che sta dietro, oltre e all'interno del flusso delle cose immediate. Qualcosa che è già reale quando ancora dev'essere realizzato. Qualcosa che nasce come possibilità remota, eppure dà significato a tutto. Un eterno interrogativo, insomma.

E per concludere, a cos'altro stai lavorando in questo periodo?
A una sonorizzazione live combinata dei film "Tron" e "Metropolis", che si concretizzerà in una proiezione a 360° questo dicembre a Parigi. Poi a una serie di performance con Jana Winderen in location speciali interamente outdoor, sulla falsariga della nostra ultima collaborazione discografica. Poi ancora a un remix di "Black (Inside)" di Rolf Julius, al secondo episodio della trilogia di "Novaya Zemlya" e alla registrazione della seconda metà di "Tiento De Las Nieves".

Discografia

THOMAS KÖNER
Nunatak Gongamur (Barooni, 1990/Type, 2010)
Teimo (Barooni, 1992/Type, 2010)
Permafrost (Barooni, 1993/Type, 2010)
Aubrite (Barooni, 1995)
Kaamos (Mille Plateaux, 1998)
Unerforschtes Gebiet (Die Stadt, 2002)
Daikan (Mille Plateaux, 2002)
Zyklop (Mille Plateaux, 2003)
Nuuk (CD + DVD, Mille Plateaux, 2004)
La Barca (Faario, 2009)
Novaya Zemlya (Touch, 2012)
Tiento De Las Nieves (Denovali, 2014)
La Barca - Complete Edition (Autoprodotto, 2014)
PORTER RICKS(Thomas Köner & Andy Mellwig)
Biokinetics (Chain Reaction, 1996)
Porter Ricks (Mille Plateaux, 1997)
Symbiotics (with Techno Animal, Force Inc. Music Works, 1999)
KONTAKT DER JÜNGLINGE(Thomas Köner & Asmus Tietchens)
Kontakt Der Jünglinge 0 (Die Stadt, 2001)
Kontakt Der Jünglinge 1 (Die Stadt, 2001)
Kontakt Der Jünglinge -1 (Die Stadt, 2002)
Kontakt Der Jünglinge n (Die Stadt, 2003)
Untitled (with John Duncan & C.M. Von Hausswolff, Die Stadt, 2007)
Makrophonie 1 (Die Stadt, 2014)
ALTRE COLLABORAZIONI (discografia parziale)
Driftworks (with Nijumu, Paul Schütze, Pauline Oliveros & Randy Raine-Reusch, box set, Big Cat, 1997)
The Köner Experiment (with Pete Kember/Sonic Boom as Experimental Audio Research, Mille Plateaux, 1997)
Untitled (EP, with Illusion Of Safety, Die Stadt, 2002)
Untitled (as Zerfall_Gebiete, with Z'EV, Die Stadt, 2004)
Cloître(live, with Jana Winderen, Touch, 2014)
Pietra miliare
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