Per i canadesi Crack Cloud le assonanze stilistiche sono evidenti e palesi già dalle prime note: Gang Of Four, Josef K, Talking Heads e Fela Kuti, riferimenti che tolgono ogni dubbio sulla natura post-punk del gruppo. Quello dei Crack Cloud è un progetto che ha una visione culturale ben radicata, dove fondamentale è la struttura comunitaria e socio-politica della band.
I sette musicisti sono saliti alla ribalta delle cronache nel 2018 grazie all’interesse della Tin Angel, che ha assemblato i primi due Ep, l’omonimo del 2016 e “Anchoring Point” del 2017, mettendo insieme tutte le registrazioni finora pubblicate dai Crack Cloud. I canadesi mettono subito in chiaro è che non è necessario essere nostalgici per far rivivere le emozioni del passato, basta lasciar fluire le proprie influenze, senza tenerle sotto controllo, per catturare quello spirito necessario a reinventare vecchie sonorità.
Al contrario dei Greta Van Fleet, i Crack Cloud non sono succubi delle loro pulsioni indotte, né ostentano tecnicismi da bravi ragazzi “cattivi”, anzi, molte delle scelte tecniche sono frutto di personali idiosincrasie con le regole: il batterista suona invertendo destra con sinistra, le quattro chitarre sono pizzicate e torturate, e le tastiere sono grezze e aride.
Assecondando i richiami stilistici sopracitati, i canadesi offrono un intelligente e poco convenzionale revival punk-funk-pop, con una serie di canzoni caratterizzate da riff tribali (“Empty Cell”), sonorità spigolose (“Cap//Cloak”), ritmi frastagliati e ballabili (“Drab Measure”, “Graph Of Desire”) e armonie anarchiche (“Time Unsubsidized”). Anarchica è anche la struttura del gruppo che ha visto avvicendarsi una moltitudine di amici prima di trovare un assetto momentaneamente stabile, una formazione che peraltro si è consolidata sul campo, con un’attività live che ha varcato i confini patri, investendo l’Europa.
Un esordio vigoroso e corroborante per un gruppo di cui sentiremo ancora parlare in futuro.
(20/01/2019)