Ho sempre avuto la percezione che la carriera solista di Graham Coxon sia stata abbastanza sottovalutata, non già per i giudizi critici ricevuti quanto per un'esposizione mediatica e un riscontro di pubblico tutto sommato contenuti. Sarà per via di quel profilo basso che l'ha sempre contraddistinto, tenendolo lontano dai riflettori e dalle polemiche che pure hanno scandito l'epoca del britpop e la sua lunga polvere di stelle, sarà che il sodale Damon Albarn nel frattempo si è lanciato nei più disparati progetti, riprendendosi ogni volta la scena, il chitarrista dei Blur si è sempre ritagliato spazi troppo angusti per quella che era invece la proposta musicale che andava modellando un album dopo l'altro. A cinque anni da “A + E”, e dopo essersi prodigato in prima persona per riunire anche in studio la band con cui ha forgiato i Novanta britannici, Graham si cimenta nella colonna sonora di “The End Of The F***ing World”, serie targata Netflix e Channel 4 basata sull'omonimo fumetto di Charles Forsman (reperibile anche in Italia per i tipi di 001 Edizioni).
Il formato soundtrack, mai sperimentato fino ad ora, sembra fornire un ampio respiro allo stile di Coxon, che qui si cimenta in tutti i numeri del suo repertorio. Rispetto ad “A + E” l'urgenza espressiva si stempera e le superfici diventano meno ruvide, e a dimostrarlo è una “Bus Stop” che torna a bazzicare gli stessi territori, ma libera dalle consuete asperità garage che fanno capolino nella breve parabola di “On The Prowl”. La chitarra è spesso acustica e il timbro folk ritorna con perseveranza tra le pieghe dei sedici brani divisi in due parti (oltre al digitale è in stampa anche la versione in vinile in doppio Lp).
Non si direbbe che è Graham il cantautore assorto di “In My Room”, trapiantato in un'America dai contorni vagamente western, mentre è inconfondibile lo stile di “Angry Me”, così Blur da non poter fare a meno di lanciarsi nel più classico del “la la la la”. Niente a che vedere con il lirismo di “Saturday Night”, con l'acustica a duettare con i rintocchi di piano, o con l'ispirato fingerpicking di “Walking All Day”, Coxon perfettamente a suo agio nei panni di menestrello country.
E non è ancora finita, perché il secondo lato della colonna sonora sfodera un'anima blues che si manifesta prima nelle torbide acque di “The Snare”, che segna anche il momento più propriamente dark dell'album, e si scatena poi nel travolgente boogie di “Lucifers Behind Me”. L'equilibrismo elettroacustico di “She Left The Light On” e il blues-rock di “Sleuth” sono invece, a loro modo, esercizi più tipicamente Coxon-iani: sporchi ma non troppo, melodici ma non frivoli, infine immersi in un velo psichedelico fino a quel momento curiosamente assente. Uno sketch dopo l'altro - il minutaggio è sempre ridotto - il chitarrista londinese arricchisce le immagini con tutte le armi in suo possesso, lasciando infine che le note si disperdano nel soffuso epilogo di “There's Something In The Way That You Cry”.
07/03/2018