Mario Alessandro Camellini, emiliano, fa un acronimo del suo nome, MAC, per debuttare come cantautore con “Un pianeta su nove”. Ma non sono vere canzoni; è piuttosto un ciclo di epigrammi nichilisti sulla condizione umana, declamato con tono salmodiante in una sorta di talking-blues pastorale, e un umore depresso, mortificato, anche se spesso accompagnato giovialmente dai comprimari.
“Veglio su di voi” e “Macellai” sono infatti acid-rock psichedelici in tempo di vaudeville, anche nella recitazione, vagamente cantilenante, drogata. Già “Livore” però adotta il modus dei Cccp, un testo formulaico ripetuto ad libitum e alzato progressivamente di tono. La litania sui mali del pianeta della canzone eponima, non distante peraltro dalla morale cattolica (accomunata con la didattica evangelica di “Alchimia”), si rifà all’“Extraterrestre” di Finardi. Marziale e dissonante, “Le parole” cambia scenario (piano e archi), finché la lettera all’ex-amante “Il treno” inscena un possibile lato oscuro di “Azzurro” di Conte, e “La malattia”, ultima lugubre dedica e altra confessione alla Ferretti, si regge solo su voce e tastiere.
Un caso di album con messaggio altamente, anche altezzosamente universale che, però, seleziona alla base i suoi ascoltatori. Si devono astenere, nell’ordine, cercatori di ritornelli pop, amanti di ballate robuste, strillate, e masticatori di sottigliezze retoriche. Il suo coraggio deriva proprio da questo: non ha paura di mostrarsi cristallino e ingenuo, breve e asciutto, senza forze e senza speranze. Deriva anche dalla sua competenza di poeta e romanziere psicologico (“Vite in folle”, a quattro mani con Linda Cervia, 2012, e “L’universo e la formica”, 2019). Produce Luca “Fargas” Spaggiari, uno che di queste cose se n’intende, aiuta Nicola “Bologna Violenta” Manzan. Singoli, ambedue significativi: “Alchimia” e “Livore”.
(04/01/2019)