Quand’è che una nota, un suono, raggiunge la perfezione? Dietro questo interrogativo c’è un mondo fatto di ricerca, di studi sulle molteplici relazioni tra suono e ambiente, di sperimentazione e speculazione filologica, eppure nonostante alcune felici intuizioni e molte innovazioni, non sembra che questa domanda abbia trovato una risposta. Sarah Davachi è una musicista canadese che in soli cinque anni ha offerto undici diverse soluzioni e altrettanti interrogativi, tra drone music, minimalismo, elettronica, ambient, musica spirituale, meditativa, psichedelica e infine ancestrale, mistica, religiosa.
Analizzare, interrogarsi, è in verità più interessante che avere soluzioni, e in questa guisa si sviluppa anche il nuovo album di Sarah Davachi, “Gave In Rest”, con il quale l'artista procede in quel distacco dall’elettronica intrapreso con l’album “All My Circles Run”, un percorso parzialmente sospeso con la pubblicazione agli inizi del 2018 di “Let Night Come On Bells End The Day”.
Al centro dell'opera è ancora una volta la musica medievale, l'attenzione dell'artista si è concentrata sul rapporto simbiotico tra strumentazione acustica e luoghi di culto, con particolare riguardo al significato rituale della giusta intonazione armonica e timbrica. Un viaggio in Europa, un’escursione tra chiese e luoghi sacri, una serie di registrazioni al pianoforte in completa solitudine, ed ecco la materia prima di “Gave In Rest”: sette tracce intrise di calma e quiete, rielaborate nei famosi studi di Montreal Hotel2tango. Qui Sarah Davachi ha trovato un importante supporto in un nucleo di musicisti di tutto rispetto: Thierry Amar dei Godspeed You! Black Emperor al basso acustico, Jessica Moss dei Thee Silver Mt. Zion's al violino, Terri Hron dei Bird on a Wire al flauto dolce, Lisa McGee dei Vestals al canto, riservando per sé pianoforte, organo, synth e strumenti a fiato.
Il fascino del nuovo album dell'artista è racchiuso nella capacità dell’autrice di estrapolare da trame sonore antiche e acustiche, tonalità seppia e sfumature di grigio che hanno la perfezione timbrica della musica digitale (“Gilded”, “Third Hour”), sfiorando a tratti la sintesi creativa della nota perfetta: aspirazione profonda e intima di quasi tutti i musicisti avantgarde.
Austera, algida, imperscrutabile, quella di Sarah Davachi più che musica sacra è metafisica, tecnica e ispirazione si fondono tra sonorità polifoniche e dissonanze che immergono l'ascoltatore in un'esperienza acustica unica, profonda. L’autrice trasforma il silenzio in un'unica nota, anticipando future evoluzioni minimali (“Auster”), scruta all’interno delle sonorità sacre più ancestrali riproponendo con una sequenza ciclica di note di piano il suono di un campanile immaginario (“Gloaming”), contagia la stasi emotiva di scampoli di drone music con riverberi acuti e amabilmente dissonanti ("Matins”).
Nonostante non manchino più di una serie di spunti d'interesse nella cospicua produzione della musicista canadese, “Gave In Rest” è caratterizzato da una profondità emotiva e da un lieve sussulto viscerale che crea un’empatia con l’ascoltatore non più solo concettuale, ma spirituale e fisica.
16/11/2018